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Us Democracy, bye bye! Trump si considera l’unico giudice delle proprie azioni

La questione non è più se Trump tenterà di consolidare un regime autoritario, ma se gli americani, tardivamente pentiti, avranno il coraggio di opporvisi

La recente elezione di un sindaco “socialista” a New York evidenzia i sentimenti “anti-Trump” degli elettori americani. Tutti i candidati democratici – che fossero di destra, di centro, di sinistra – hanno vinto ovunque si è votato: NY, Virginia, New Jersey, California. Intanto i politologi suonano l’allarme democratico.

“Non è più possibile non vederlo: c’è un filo oscuro che unisce tutti i gesti, le parole e le decisioni di Donald Trump”, scrive Peter Wehner su The Atlantic. “Non ha mai nascosto la sua malizia, la sua illegalità, il gusto per l’umiliazione e per la violenza. Al contrario, le ha sempre esibite — nel tentativo di rovesciare il risultato delle elezioni del 2020, nel suo silenzio complice” mentre i suoi sostenitori assaltavano il Campidoglio, e nella “campagna della vendetta” del 2024, costruita sulla promessa di distruggere i nemici politici e rimettere il Paese “in riga”.

Il fatto che più di 77 milioni di americani abbiano scelto di affidargli di nuovo la cura della nazione, osserva Wehner, è il segno di una decadenza morale profonda. «Trump è l’uomo rappresentativo del nostro tempo», scrive: il suo codice etico, o piuttosto la sua assenza di etica, riflette quella di una larga parte del suo elettorato. Per chi aveva creduto nell’America “città splendente sulla collina”, questa è un’epoca amara. Il Paese ha smarrito la sua bussola morale e, con essa, la sua autorevolezza nel mondo. Trump, secondo l’autore, sta costruendo una struttura di potere parallela e paramilitare, pronta a colpire chiunque venga definito ‘nemico interno’. Ha già invocato poteri di guerra per deportare migranti senza processo, e persino minacciato di usare l’esercito per “ripulire” le città americane in rivolta. Alle truppe americane in Giappone ha detto: «Se ci servirà più della Guardia Nazionale, manderemo più della Guardia Nazionale». Ha evocato l’uso dell’Insurrection Act del 1807, che consente al presidente di impiegare le forze armate sul suolo nazionale, e ha perfino affermato — senza base legale — di avere il diritto di “eliminare” sospetti trafficanti di droga in acque internazionali: e lo ha fatto!

Il docente del Naval War College, Tom Nichols, avverte che Trump sta abituando il Paese all’idea che l’esercito sia un suo strumento personale, slegato dalla legge, dalle norme e dalle tradizioni americane. Un concetto che, in un contesto democratico, suona come allarme definitivo. I giudici avvocati generali (JAG) destituiti dal Segretario alla Difesa, Pete Hegseth, dovevano valutare la legalità degli ordini militari: erano insomma l’ultimo argine contro eventuali abusi. E cinque ex segretari alla Difesa — di entrambi i partiti — hanno espresso “profonda preoccupazione per la politicizzazione dell’esercito e il tentativo di rimuovere ogni limite legale al potere presidenziale”.

Trump, del resto, si considera l’unico giudice della legalità delle proprie azioni. Un ordine esecutivo di febbraio lo dichiara apertamente: “Le opinioni del Presidente e del Procuratore Generale sulle questioni di diritto sono vincolanti per tutti i dipendenti pubblici”. In altre parole, nessun funzionario può sostenere un’interpretazione della legge che contraddica quella del presidente.

Sotto ogni profilo, la democrazia americana è sotto assedio: anche per il controllo dell’informazione, le purghe amministrative, la persecuzione giudiziaria dei dissidenti. Trump sta tentando di far revocare le licenze televisive alle reti che gli sono ostili, e usando il Dipartimento di Giustizia per colpire giornali e università. Ha licenziato il Capo del Bureau of Labor Statistics dopo la pubblicazione di dati economici sfavorevoli, insultato giudici e procuratori: “mostri che vogliono portare il Paese all’inferno”; e concesso l’amnistia a oltre 1.600 partecipanti all’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021.

Sul piano elettorale, Trump ha ordinato indagini contro la piattaforma di finanziamento democratico ActBlue (paralizzandola) e contro il voto per corrispondenza (prediletto dagli elettori democratici). Alcuni dei suoi consiglieri, come Cleta Mitchell, parlano apertamente della possibilità di dichiarare uno stato d’emergenza nazionale per prendere il controllo del sistema elettorale. “L’insurrezione è fallita la prima volta – scrive David A. Graham – ma la seconda potrebbe riuscire”.

L’ex giudice federale Michael Luttig è ancora più netto: «Con ogni parola e ogni gesto, Trump mostra di voler restare al potere a qualunque costo». Ha riempito ogni posizione chiave di fedelissimi, pronti a seguirlo “fino alla fine del mondo”, sicuri che un perdono presidenziale li proteggerà comunque. E la Corte Suprema? «Non c’è segno che siano disposti a fermarlo». Anche se tentassero di farlo, Trump potrebbe semplicemente ignorarle.

La questione non è più se Trump tenterà di consolidare un regime autoritario, ma se gli americani, tardivamente pentiti, avranno il coraggio di opporvisi. Alcune città, come Portland, hanno già manifestato: sono state dichiarate una minaccia, un obiettivo, un “teatro di guerra”. Il Presidente racconta menzogne gigantesche, per creare l’illusione che il Paese sia sotto attacco — non da un’altra nazione, ma dalle sue stesse città. Ma non ci sono incendi, devastazioni o chiusure di attività come quelle di cui parla Trump. Le manifestazioni “No Kings” sono state costruttive, pacifiche e in linea con i diritti sanciti dalla Costituzione.

Come sempre, le grandi menzogne servono ad iniziare le guerre — anche contro sé stessi! Trump sta dicendo ai soldati americani che saranno considerati eroi se uccideranno i propri concittadini. Ma la gente non vuole che i soldati scatenino una guerra contro il proprio popolo. Ed è proprio ciò che hanno detto la scorsa settimana gli elettori col loro voto.