
La mancata volontà politica di investire in contributi previdenziali e un sostegno economico degno per chi accudisce un familiare non è solo un fallimento di welfare, ma una scelta miope
di Massimiliano Di Fede
L’ultima Legge di Bilancio del governo Meloni, pur affrontando diverse misure economiche e sociali, si rivela gravemente insufficiente nel dare un sostegno concreto e strutturale ai caregiver familiari. Queste figure, oltre 7 milioni in Italia, sono la vera spina dorsale del welfare e dell’assistenza alla disabilità nel Paese, un ruolo prezioso che lo Stato continua a ignorare.
Le misure previste per il caregiver si riducono, di fatto, all’istituzione di un Fondo per il Caregiver Familiare. Le cifre stanziate, tuttavia, parlano chiaro: 1,15 milioni di euro per il 2026 e 207 milioni a decorrere dal 2027. Cifre che associazioni di settore hanno definito “irrisorie” e “esigue”, specialmente per l’anno d’avvio. Questo finanziamento è privo di una legge quadro nazionale che stabilisca chiaramente i beneficiari e le tutele specifiche. Senza una norma precisa, il fondo rischia di restare un mero atto simbolico, incapace di affrontare le due lacune fondamentali che affliggono i caregiver:
1) Non è previsto un provvedimento che riconosca contributi figurativi per i caregiver che hanno lasciato il lavoro o lavorano a tempo pieno nell’assistenza. Chi si sacrifica per la cura del familiare non autosufficiente si ritrova con la propria carriera contributiva e, di conseguenza, il proprio futuro pensionistico gravemente compromesso.
2) Non viene istituito un assegno economico o una forma di “stipendio di cura” per chi non può lavorare a causa della gravità e della continuità dell’assistenza. Interrompere l’attività lavorativa, per il caregiver, significa spesso precipitare nell’indigenza, un prezzo sociale inaccettabile per un gesto di profondo valore etico. In assenza di una misura universale specifica, il welfare italiano ha storicamente lasciato i caregiver in una zona grigia, spesso costringendoli a dipendere esclusivamente dalle misure assistenziali destinate al familiare disabile (Indennità di accompagnamento), o da risicati contributi regionali.
In questo scenario, il Reddito di Cittadinanza, pur con tutti i suoi limiti, rappresentava per il caregiver non lavoratore l’unico parziale ammortizzatore sociale in grado di sopperire alla mancanza di un’entrata. Il governo Meloni si è affrettato a cancellare il RdC, sostituendolo con l’Assegno di Inclusione che pone requisiti più stringenti. Questa mossa, sebbene inserita in un’ottica di riforma, ha tolto l’ultima rete di sicurezza per migliaia di caregiver non occupabili, lasciandoli privi di qualsiasi sostegno al reddito. Si è persa l’occasione di convertire il sostegno economico dell’RdC in un Assegno di Cura universale, riconoscendo finalmente il valore del loro impegno.
È cruciale ricordare che il ruolo del caregiver non è solo un atto d’amore, ma un immenso servizio pubblico non retribuito che garantisce un enorme risparmio allo Stato e al Servizio Sanitario Nazionale. Il costo di un posto letto in RSA è significativamente superiore a qualsiasi misura di sostegno economico domestico. Senza i caregiver, il sistema sanitario collasserebbe sotto un peso economico e logistico insostenibile.
L’assistenza domiciliare assicura al disabile o all’anziano non autosufficiente un miglioramento tangibile della qualità della vita, non solo fisico, ma soprattutto psicologico. Vivere nel proprio ambiente, circondato dagli affetti e in continuità con la propria storia, è un fattore terapeutico essenziale che nessuna struttura può replicare.
La mancata volontà politica di investire in un riconoscimento concreto, con contributi figurativi e un sostegno economico degno per il caregiver familiare, non è solo un fallimento di welfare, ma una scelta miope che ignora il costo umano ed economico di questa figura essenziale. La Legge di Bilancio in discussione ha perso un’ulteriore, fondamentale occasione.