
Nell'ultimo giorno di audizioni sulla legge di bilancio 2026, l'Istat mette in fila numeri difficili da conciliare con la narrazione governativa. Tre quarti del beneficio del bonus mamme potenziato andrà alle famiglie dei quinti centrali della distribuzione del reddito
Il taglio della seconda aliquota Irpef, presentato dal governo come il primo vero aiuto al “ceto medio“? Finirà per riversare oltre l’85% delle risorse sulle famiglie con i redditi più alti. E il nuovo Isee “potenziato”, presentato come misura per ampliare l’accesso ai sostegni sociali? Quasi il 70% dei vantaggi andrà ai quinti centrali della distribuzione, mentre le famiglie più povere – pur ottenendo un piccolo guadagno percentuale maggiore – saranno “una quota molto esigua” di quelle beneficiate dalla misura. Il potenziamento del bonus mamme? Tre
quarti del beneficio totale andrà a vantaggio delle famiglie dei quinti centrali della distribuzione del reddito. Nell’ultimo giorno di audizioni sulla legge di bilancio 2026 davanti alle commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato, l’Istat mette in fila numeri difficili da conciliare con la narrazione governativa.
Partiamo dal taglio dell’aliquota Irpef di mezzo dal 35 al 33%, l’intervento che la maggioranza prometteva da tempo alle fasce che non hanno goduto degli sgravi contributivi riservati a chi guadagna meno di 35mila euro l’anno. Era già noto che il vantaggio pieno, per il meccanismo degli scaglioni, andrà solo a chi è sopra i 50mila euro di stipendio annuo. Ora l’istituto di statistica conferma innanzitutto come la misura, che costa 2,9 miliardi e coinvolge 14 milioni di contribuenti, abbia effetti minuscoli visto che per tutte le classi di reddito la variazione è “inferiore all’1% del reddito familiare“. In più il presidente dell’Istituto, Francesco Maria Chelli, spiega che oltre l’85% delle risorse sono “destinate alle famiglie dei quinti più ricchi della distribuzione del reddito”. Buone notizie per “oltre il 90% delle famiglie del quinto più ricco e oltre due terzi di quelle del penultimo quinto”. In soldoni, di quanto si appesantiranno le buste paga? “Dai 102 euro per le famiglie del primo quinto ai 411 delle famiglie dell’ultimo”. A cui andrà, stando alle tabelle Istat, il 62% del guadagno.
Diagnosi confermata dal vicecapo del Dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia, Fabrizio Balassone, che ha osservato a sua volta come la riduzione dell’aliquota “favorisce i nuclei dei due quinti più alti della distribuzione dei redditi” e le misure “non comportano variazioni significative della disuguaglianza nella distribuzione del reddito disponibile equivalente”.
Una redistribuzione squilibrata che riguarda anche altre misure inserite nel ddl ora all’esame dal Parlamento. A partire dalla revisione dell’Isee. L’articolo 47 della manovra alza la soglia di esclusione della prima casa dal calcolo patrimoniale da 52.500 a 91.500 euro di valore catastale e introduce nuove maggiorazioni nella scala di equivalenza per i nuclei con figli. Il risultato, calcola l’Istat, è un beneficio medio di 145 euro annui per 2,3 milioni di famiglie (l’8,6% del totale). Ma anche qui, quasi il 70% dei vantaggi si concentra nei quinti centrali della distribuzione del reddito. “Le famiglie più povere ottengono un beneficio leggermente più elevato in rapporto al reddito (+2,2%)”, è la sintesi, “ma rappresentano solo una piccola parte dei nuclei che trarranno vantaggio dalla misura poiché già rientravano nei requisiti di accesso e ricevevano importi più elevati dei trasferimenti”. In questo caso, dunque, ad essere favoriti sono i proprietari di casa con redditi medi. Ma la norma contribuisce anche a complicare ulteriormente il sistema, perché questo Isee depurato verrà considerato solo per valutare il diritto ad Assegno di inclusione e Supporto formazione lavoro, Assegno unico universale, Bonus per l’asilo nido e Bonus nuovi nati. “Di fatto, il legislatore introduce una nuova tipologia di Isee che si andrebbe ad aggiungere a quelle già esistenti”, senza che ce ne fosse alcun bisogno, mette nero su bianco l’Istat, visto che “il medesimo obiettivo redistributivo potrebbe essere ottenuto in sede di definizione dei requisiti di accesso ai singoli trasferimenti”.
L’intervento è finito anche sotto la lente di ingrandimento dell’Ufficio parlamentare di bilancio, la cui presidente Lilia Cavallari in audizione ha sottolineato come la modifica porti a “una disparità di trattamento a sfavore di quelle famiglie che più hanno risentito della crescita dei prezzi nel mercato immobiliare”. La modifica della franchigia sulla prima casa, ha detto Cavallari, “in assenza di una corrispondente modifica della franchigia prevista per i nuclei in affitto, appare come una scelta di policy ben definita in favore di specifici nuclei familiari” e introduce “elementi di iniquità riconoscendo ai nuclei che vivono in abitazioni di proprietà, a parità di condizione economica e numerosità delle famiglie, una priorità nell’accesso alle prestazioni e maggiori benefici in termini di erogazioni, ove previsto”.
Il terzo tassello, la conferma del bonus mamme che sale da 40 a 60 euro al mese (articolo 46), segue la stessa logica: un beneficio limitato in valore assoluto ma politicamente spendibile come segnale di attenzione all’emergenza denatalità. L’incentivo per lavoratrici con due o più figli e redditi sotto i 40mila euro annui interessa circa 865mila donne, un quarto della platea potenziale, per un costo di 570 milioni. Secondo le simulazioni Istat, il bonus porterà un aumento medio dei redditi familiari del 2,7%, ma tre quarti del beneficio complessivo andranno ai ceti medi, in cui le madri tendono a lavorare stabilmente per tutto l’anno. Di fatto, l’intervento sposta pochissimo per la parte più fragile della platea femminile, quella che alterna periodi di lavoro e inattività o non riesce a entrare nel mercato del lavoro.
A completare il quadro, l’Istat ha ricordato che la povertà assoluta resta sui livelli record: nel 2024 2,2 milioni di famiglie (8,4%) e 5,7 milioni di persone (9,8% della popolazione) vivono in povertà, con oltre 1,2 milioni di minori coinvolti. Tra le famiglie con persona di riferimento operaio, l’incidenza della povertà è salita al 15,6%, contro il 5,8% del 2014. Eppure, nel disegno di legge di bilancio le misure dirette ai più vulnerabili restano residuali: 500 milioni per la Carta dedicata a te, 300 milioni per l’aumento delle pensioni minime, 170 milioni per la proroga dell’Ape sociale, 250 milioni per le borse di studio.
Un ulteriore segnale di affanno arriva dalla sanità. Nel 2024, ha ricordato Chelli, quasi 6 milioni di persone (9,9% della popolazione) hanno rinunciato a curarsi o a sottoporsi a visite specialistiche per via delle liste d’attesa, delle difficoltà economiche o della scomodità delle strutture sanitarie. È un dato in forte crescita rispetto all’anno precedente (7,6%) e più che triplicato rispetto al 2019 (quando era al 3%). La motivazione principale è l’attesa troppo lunga. Le rinunce alle prestazioni sanitarie aumentano con l’età e colpiscono in particolare donne e anziani. Quasi la metà dei medici italiani (44%) ha più di 55 anni e uno su cinque supera i 65, il valore più alto dell’intera Ue. Tra i medici di medicina generale, la situazione è ancora più critica: il 60% ha oltre 60 anni e più della metà segue oltre 1.500 assistiti, oltre il limite previsto. In dieci anni i medici di base sono diminuiti di oltre 7.200 unità, aggravando il carico di lavoro e le difficoltà di accesso alle cure. In questo quadro il rifinanziamento di 2,4 miliardi per il 2026 per la sanità previsto dal disegno di legge rischia di non essere sufficiente.