
Il presidente Usa persuaso a sospendere i progettati raid anti-migranti: nella città si stava creando una situazione esplosiva. La minaccia di uno scontro così minaccioso per gli equilibri politici, sociali, istituzionali ha suggerito a molti, nell’amministrazione, di intervenire su Trump, suggerendo moderazione
Stop all’invio di agenti federali a San Francisco. Lo annuncia Donald Trump, che dice di aver parlato con il sindaco della città, Daniel Lurie, e con “alcuni amici”, che lo avrebbero convinto a sospendere i progettati raid anti-migranti. Nella decisione conta però, probabilmente, anche lo scenario da guerra civile che si stava delineando in città, con la possibilità che gli agenti della polizia locale si scontrassero con i federali. La situazione resta comunque tesa in molte parti degli Stati Uniti. “Non interferite con le attività delle forze federali”, avverte il vice attorney general Todd Blanche. “Siamo pienamente preparati, se arrivate”, risponde la sindaca di Oakland Barbara Lee. Allo stato delle cose, è proprio a una sorta di guerra civile strisciante che la realtà americana sempre più assomiglia.
“Ho parlato con il sindaco Lurie e mi ha chiesto, molto gentilmente, di dargli una possibilità per vedere se può cambiare la situazione”, ha scritto Trump su Truth Social, annunciando di aver bloccato l’invio degli agenti della U. S. Customs and Border Protection. “Gli ho detto: È un processo più semplice se lo facciamo noi, più veloce, più efficace e più sicuro, ma vediamo come te la cavi”. Il presidente spiega di aver ricevuto una serie di telefonate da parte di “persone fantastiche” – tra queste due Ceo del settore tecnologico, Jensen Huang di Nvidia e Marc Benioff di Salesforce – che lo avrebbero chiamato per dirgli che “il futuro di San Francisco è grandioso”. Alla fine, Trump ha sospeso i suoi piani. “Vogliono provarci. Pertanto, non colpiremo di San Francisco sabato. Stay tuned!” conclude su Truth Social, lasciando comunque intendere che, se le cose non andranno come desidera, le truppe federali sono destinate a tornare.
La telefonata con Trump è stata confermata dal sindaco Lurie, che dice di aver spiegato al presidente che “la nostra città è in ripresa”, che “siamo ai minimi degli ultimi settant’anni per quanto riguarda i crimini violenti” e che “anche gli accampamenti di tende, allestiti dai senzatetto, sono al minimo storico”. Lurie non si fa comunque illusioni. Sa che dalla Casa Bianca può arrivare, da un momento all’altro, il contrordine. “Siamo pronti a qualsiasi scenario” dice, aggiungendo: “Abbiamo un piano definito, che può essere attivato in qualsiasi momento. Spero sinceramente di non dover mai mettere in atto quel piano”. Il sindaco non precisa le misure che intende prendere, ma l’allusione è molto chiara e non lascia presagire nulla di buono. Se a San Francisco dovessero partire i raid del governo, lui sarebbe pronto ad assumere decisioni radicali.
Oltre la facciata ufficiale della “città in ripresa” e delle “persone fantastiche”, la ragione che ha spinto l’amministrazione a bloccare i raid contro gli illegali è stata in parte proprio questa. A San Francisco si stava creando una situazione esplosiva. Lurie aveva messo in stato d’allerta il Department of Emergency Management e tutte le agenzie cittadine che si occupano di ordine pubblico. Davanti alla base navale di Alameda County, punto di concentramento degli agenti federali, si era concentrata una folla di centinaia di persone, che bloccava l’entrata e l’uscita dei veicoli della U.S. Customs and Border Protection, e contro cui erano già state usate granate stordenti. Le comunità della Bay Area nel giro di poche ore avevano preso misure per ostacolare l’azione degli agenti federali. Il consiglio di Santa Clara County, martedì, aveva per esempio votato all’unanimità per impedire agli agenti federali di usare strutture cittadine – edifici, parcheggi, uffici – per pianificare e realizzare le loro operazioni.
La vera “opzione nucleare” l’avevano però sganciata i due deputati democratici di San Francisco, l’ex speaker della Camera Nancy Pelosi e Kevin Mullin. In una dichiarazione congiunta, mercoledì, i due avevano scritto, che mentre “il Presidente può godere dell’immunità assoluta per gentile concessione della sua Corte Suprema, coloro che operano sotto i suoi ordini non ne godono”, sottolineando quindi che “le nostre autorità statali e locali possono arrestare agenti federali se violano la legge della California; se vengono condannati”. Quello che Pelosi e Mullin suggerivano è che gli agenti della polizia di San Francisco avrebbero potuto arrestare gli agenti federali, nel caso questi si fossero resi responsabili di abusi durante i raid contro gli illegali. L’idea era peraltro stata esposta poco prima dalla procuratrice distrettuale di San Francisco, Brooke Jenkins, che aveva detto di essere rimasta scioccata dalle immagini di agenti federali che picchiano le persone a Los Angeles e Chicago. Nel caso le violenze si fossero ripetute anche a San Francisco, aveva detto Jenkins, “tratterò gli agenti come chiunque altro infranga la legge. Colpire le persone con i manganelli? Picchiarle? Non sotto la mia supervisione”. Jenkins si era quindi rivolta al Dipartimento di Polizia di San Francisco, che si era detto favorevole ad arrestare gli agenti federali per “chiaro ed eccessivo uso della forza”.
Ciò che stava per esplodere a San Francisco era dunque una vera e propria guerra. Non tra agenti dell’immigrazione e illegali. Non tra agenti federali e attivisti di sinistra. Piuttosto, tra agenti del governo degli Stati Uniti e polizia cittadina. È stata la possibilità di un evento così clamoroso a spingere diversi CEO dell’hi-tech della Bay Area a chiamare Trump, chiedendogli di rinunciare ai suoi piani. È stata la minaccia di uno scontro così minaccioso per gli equilibri politici, sociali, istituzionali a suggerire a molti, nell’amministrazione, di intervenire su Trump, suggerendo moderazione. Alla fine, il presidente ha acconsentito, lasciando però aperta la porta per un futuro intervento delle forze federali. Quello “stay tuned” del suo messaggio social, restate sintonizzati, allude proprio a questo. A San Francisco lo sanno, e si preparano.
La situazione resta peraltro tesissima in altre parti degli Stati Uniti. A New York ci sono stati scontri, proteste e decine di arresti, quando gli agenti dell’ICE sono calati su Chinatown per arrestare chi vende merci contraffatte. A Oakland, California, gli agenti federali stazionano nella base della Coast Guard Island, pronti a far partire i raid contro i migranti. “Voglio essere chiara: la nostra città è pienamente preparata. Oakland è e continuerà a essere una città accogliente per i nostri immigrati e i nostri rifugiati, e le nostre leggi e i nostri valori lo riflettono”, ha annunciato la sindaca Barbara Lee, che per decenni ha rappresentato l’ala più progressista del partito democratico alla Camera.
A Chicago si susseguono da giorni altri scontri e proteste. Qui l’amministrazione, da settembre, ha scatenato l’“Operation Midway Blitz”. Qui Gregory Bovino, che guida i Border Patrols Usa – la polizia di confine – è stato accusato di aver lanciato almeno un lacrimogeno contro i manifestanti, in potenziale violazione dell’ordinanza di un giudice federale che impedisce agli agenti federali di usare tattiche aggressive. E a Portland, Oregon, dove Trump continua a dire che è in corso “un’insurrezione”, le autorità fanno di tutto per bloccare l’arrivo della Guardia Nazionale. Da Washington arrivano intanto dichiarazioni per nulla rassicuranti. Il vice attorney general, Todd Blanche, avverte deputati e amministratori di Illinois e California di non intralciare le operazioni contro gli immigrati. Su X, ha postato un messaggio chiaro: “Legge federale. Autorità federale. Conseguenze federali”. Lo scontro insomma continua e rischia di precipitare l’America in un conflitto civile dagli esiti imprevedibili.