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Riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti al palo. Il Patto per un nuovo welfare: “Rischiamo di muoverci troppo tardi”

Nessuno dei tre obiettivi della legge delega 33 del 2023, la prima riforma organica del settore, è stato ancora raggiunto. Lo scorso anno uno dei decreti attuativi ha limitato la programmazione integrata ai soli interventi sociali: le famiglie continuano a doversi muovere tra una “babele di sportelli, luoghi e sedi, con una molteplicità di procedure diverse da seguire”
Riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti al palo. Il Patto per un nuovo welfare: “Rischiamo di muoverci troppo tardi”
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La riforma del welfare per gli anziani non autosufficienti resta in gran parte inattuata. A oltre un anno e mezzo dall’approvazione della legge delega 33/2023, il percorso di attuazione procede con lentezza e tra numerosi arretramenti. È quanto emerso martedì dal convegno “La riforma dell’assistenza agli anziani: a che punto siamo?”, promosso dal Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza, che riunisce 61 organizzazioni della società civile impegnate nella tutela e nell’assistenza degli anziani. “Il tempo, come dimostrano i dati statistici, è un fattore cruciale. Il rischio è mettere mano al settore troppo tardi, cioè quando, a causa del rapido invecchiamento della popolazione, azioni incisive saranno impossibili”, ha spiegato Cristiano Gori, coordinatore del Patto.

In Italia poco meno di un quarto della popolazione – il 24,3%, circa 14 milioni di persone – ha più di 65 anni. Di queste, 4 milioni non sono autosufficienti e necessitano di assistenza continuativa nella vita quotidiana. Tra dieci anni saranno circa 6 milioni. Nelle bozze della legge di Bilancio 2026, nota Gori, per loro non c’è nulla, mentre si stanziano risorse per rimandare l’aumento dell’età pensionabile per i 67enni.

La legge delega 33 del 2023 rappresentava la prima riforma organica del settore, attesa da oltre venticinque anni e prevista dal Pnrr. I suoi obiettivi erano tre: costruire un sistema unitario, definire nuovi modelli di intervento e ampliare l’offerta di servizi. Ma, evidenzia il documento diffuso dal Patto, nessuno dei tre è stato ancora raggiunto. La costruzione di una governance integrata tra sanità, politiche sociali e trasferimenti monetari, prevista attraverso il Sistema Nazionale per la Popolazione Anziana Non Autosufficiente, è stata di fatto rinviata dal decreto attuativo 29 approvato lo scorso anno, che limita la programmazione integrata ai soli interventi sociali. Le famiglie, dunque, continuano a doversi muovere tra una “babele di sportelli, luoghi e sedi, con una molteplicità di procedure diverse da seguire”.

Anche la semplificazione del labirinto burocratico promesso dalla riforma rischia di fallire. “Contrariamente a quanto ci si potrebbe attendere da una norma volta alla semplificazione, il Decreto, di fatto, determina procedure più complicate rispetto all’oggi”, si legge nel rapporto. In sostanza, un provvedimento nato per rendere la vita più semplice agli anziani e ai loro familiari “rischia di conseguirne l’effetto opposto, ingarbugliandola ulteriormente”.

Sul fronte dei nuovi modelli di intervento, l’Italia resta priva di un servizio domiciliare pubblico dedicato agli anziani non autosufficienti. La legge prevedeva una nuova forma di assistenza domiciliare continuativa e integrata, ma il Decreto 29/2024 ne ha rinviato l’introduzione, limitandosi a prevedere un coordinamento tra servizi sociali e sanitari. Anche nelle strutture residenziali, osserva il documento, mancano “una strategia nazionale e una visione di medio-lungo periodo”, mentre il nuovo schema di decreto del ministero della Salute “evidenzia chiaramente l’intenzione dello Stato di non intervenire in questo settore”, delegando tutto alle Regioni.

Stesso destino per la riforma dell’indennità di accompagnamento, che la legge delega voleva trasformare in una prestazione universale graduata in base ai bisogni. Al suo posto è stata avviata solo una sperimentazione biennale (2025-2026) destinata a 25mila anziani. L’unico elemento mantenuto è la “maggiorazione dell’importo per chi assume assistenti familiari in modo regolare o ricorre a soggetti accreditati”: 850 euro mensili aggiuntivi rispetto ai 542 dell’indennità ordinaria. Ma, avverte il rapporto, “è difficile immaginare che un così ampio incremento possa essere messo a disposizione di tutti gli attuali 1,3 milioni di beneficiari”.

Infine, i finanziamenti: la riforma non prevede ancora risorse aggiuntive. Servirebbero, secondo le stime, tra 5 e 7 miliardi di euro annui per garantire servizi adeguati e diffusi sul territorio. Ma, si legge nel documento, “reperire più fondi senza aver individuato una chiara strategia d’azione costituirebbe uno spreco di risorse; analogamente, mettere in campo la miglior progettualità senza poter contare su finanziamenti adeguati sarebbe uno sforzo inutile”.

Durante l’incontro il ministro della Salute Orazio Schillaci ha difeso l’operato del governo: “Abbiamo aumentato i fondi per l’investimento del Pnrr sull’assistenza domiciliare integrata, raggiungendo in anticipo l’obiettivo del 10% di over 65 assistiti al domicilio”. Ma, avverte il Patto, “diverse questioni cruciali restano irrisolte e i tempi della politica appaiono sempre più distanti da quelli della società”.

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