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Eni-Nigeria, confermata in appello la condanna dei pm De Pasquale e Spadaro a 8 mesi

Secondo l'accusa i due magistrati non hanno depositato atti favorevoli alle difese nel procedimento Eni-Nigeria. "Questo processo è il frutto di un’indagine svolta in violazione delle garanzie fondamentali della pubblica accusa nel processo penale e, in sostanza, un processo profondamente ingiusto" aveva detto il pm Spadaro prima della sentenza
Eni-Nigeria, confermata in appello la condanna dei pm De Pasquale e Spadaro a 8 mesi
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La Corte d’appello di Brescia presieduta ha confermato la condanna di primo grado a otto mesi per rifiuto d’ufficio nei confronti dei due pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. Secondo l’accusa i due magistrati non hanno depositato atti favorevoli alle difese nel procedimento Eni-Nigeria.

Le contestazioni

I fatti contestati si sono verificati fra gennaio e marzo 2021. In particolare i magistrati sono accusati di sei episodi di omissione d’atti d’ufficio per non aver depositato alle difese Eni gli elementi raccolti dal pm Paolo Storari durante l’inchiesta parallela ‘Falso complotto Eni’ su un presunto maxi depistaggio ai danni dei magistrati che accusavano il colosso dell’energia, con al centro la figura dell’ex legale esterno della società, Piero Amara, che in passato ha patteggiato una condanna per corruzione in atti giudiziari ed è stato coinvolto nella vicenda della sedicente Loggia Ungheria.

Si tratta di tre documenti di 88 pagine, denominati ‘falsità Armanna’ ‘dal nome di Vincenzo Armanna, ex manager Eni, grande accusatore della società petrolifera sulla presunta mazzetta da un miliardo per aggiudicarsi il giacimento Opl 245 e poi ritrattatore. Prove che secondo Storari avrebbero dimostrato in maniera inconfutabile come Armanna fosse un calunniatore-depistatore che tenta di pagare testimoni e fornisce chat e numeri di telefono falsificati e delle quali avrebbe avvisato i colleghi con insistenza per due mesi a partire dal 18 gennaio 2021.

Il processo per corruzione denominato Eni-Nigeria si era chiuso con l’assoluzione definitiva di tutti gli imputati, e a finire sotto accusa erano stati De Pasquale e Spadaro. Secondo i giudici di primo grado del Tribunale di Brescia (competente sui reati commessi dai magistrati milanesi) hanno deliberatamente omesso, pur avendone l’obbligo, di depositare atti favorevoli alle difese, in particolare un video e delle conversazioni Whatsapp che minavano la credibilità di Vincenzo Armanna, ex dipendente Eni e testimone chiave della Procura contro i vertici del cane a sei zampe.

La difesa

“Questo processo è il frutto di un’indagine svolta in violazione delle garanzie fondamentali della pubblica accusa nel processo penale e, in sostanza, un processo profondamente ingiusto” aveva detto Spadaro nella dichiarazione spontanea rilasciata davanti alla corte prima della sentenza.

“La pubblica accusa bresciana ha seguito, con immediata convinzione, le malevole suggestioni che l’indagato Storari, sentito dai pm di Roma l’8.5.2021, aveva voluto spontaneamente rilasciare, a interrogatorio concluso, alcune righe dopo aver confessato di aver violato il segreto investigativo consegnando all’esterno gli interrogatori sulla Loggia Ungheria” ha detto De Pasquale. “Siamo accusati di rifiuto d’atti d’ufficio. Ma non abbiamo mai rifiutato di svolgere il nostro dovere di magistrati. Conoscere e valutare, valutare e decidere. E questa valutazione l’abbiamo messa per iscritto, assumendocene la responsabilità, in un atto formale, firmato e trasmesso al procuratore. Non c’è rifiuto, non c’è omissione, c’è un atto, un agire secondo coscienza e diritto, in modo trasparente e condiviso”.

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