La denuncia delle ong al Financial Times contro il processo al pm De Pasquale: “Paga il prezzo per aver indagato su Eni”
Il processo ai pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro “puzza di interferenza politica” ed “è impossibile non vederlo come un tentativo deliberato di fermare le indagini per corruzione internazionale contro le aziende italiane”. A dirlo al Financial Times è Simon Taylor, co-fondatore della ong anglo-americana Global Witness, una delle sigle firmatarie dell’esposto che fece partire l’inchiesta di Milano su una presunta maxi-tangente da 1,1 miliardi di dollari pagata da Eni e Shell per l’acquisizione dei diritti di sfruttamento di un giacimento petrolifero in Nigeria. Quel fascicolo si è chiuso con l’assoluzione definitiva di tutti gli imputati, e a finire sotto accusa al loro posto sono stati De Pasquale e Spadaro, condannati in primo grado a otto mesi di reclusione per rifiuto di atti d’ufficio: secondo il Tribunale di Brescia (competente sui reati commessi dai magistrati milanesi) hanno deliberatamente omesso, pur avendone l’obbligo, di depositare atti favorevoli alle difese, in particolare un video e delle conversazioni Whatsapp che minavano la credibilità di Vincenzo Armanna, ex dipendente Eni e testimone chiave della Procura contro i vertici del cane a sei zampe.
Tramite i loro avvocati, i due pm hanno impugnato la sentenza in Appello. E a pochi giorni dal verdetto di secondo grado, previsto questa settimana, il prestigioso quotidiano economico-finanziario britannico dedica un articolo alla vicenda, dando voce a esperti anti-corruzione secondo cui – riassume la corrispondente dall’Italia Silvia Sciorilli Borrelli – i magistrati “stanno pagando il prezzo per aver tentato di processare la più grande azienda italiana, di cui lo Stato è azionista di maggioranza”. “Nel pieno rispetto dell’indipendenza della magistratura, bisogna segnalare che, per quanto i fatti descritti nella sentenza di primo grado siano veri, errori di questo tipo da parte dei pubblici ministeri finora non sono mai stati perseguiti come reati in nessun Paese, inclusa l’Italia”, dichiara Drago Kos, già capo del gruppo di lavoro sulla corruzione internazionale dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Se la sentenza d’Appello confermasse quella di primo grado, avverte Kos, “ogni errore commesso dai pm in Italia potrebbe d’ora in poi essere considerato un reato e non una semplice violazione di regole procedurali, punita con l’inammissibilità delle prove o con sanzioni disciplinari”.