Il climatologo Carlo Buontempo: “Riarmo? Noi scienziati forniamo dati, politici e cittadini devono scegliere”
“Il mondo va verso il riarmo, dimenticando la questione climatica? Guardi, io dico che noi possiamo scegliere come società altre priorità a seconda del contesto geopolitico o economico, ma questo, semplicemente, non altera lo stato delle cose, cioè il fatto che i mari continuino a salire e i nostri ghiacciai perdano decine di chilometri cubici di ghiaccio ogni anno, anzi questo andrà peggiorando. Quindi il punto è quale livello di rischio siamo disposti ad accettare. Perché ogni passo che facciamo senza ridurre le emissioni, o addirittura aumentandole renderà il rischio di precipitazioni intense e alluvioni più alto, aumenterà il rischio di ondate di calore che saranno più frequenti e intense”. Carlo Buontempo è climatologo e direttore del Copernicus Climate Change Service (C3S) ed è uno dei protagonisti della XXIII edizione del festival di divulgazione scientifica BergamoScienza (che si svolge dal 3 al 19 ottobre), con una conferenza dal titolo “Oceani: il termometro blu del Pianeta”. “Copernicus”, spiega Buontempo, “è il programma di osservazione della Terra dell’Unione Europea. Il nostro scopo è prendere le informazioni che abbiamo e che vengono da sensori a terra e satelliti e trasformarle in informazioni a valore aggiunto che possano permetterci di fare scelte ragionate”.
Qual è il ruolo degli scienziati nel contrasto al cambiamento climatico? Non servirebbe, a suo avviso, un organo scientifico per orientare le scelte della politica?
Credo che non stia a noi scienziati decidere il futuro delle emissioni, il nostro scopo è fornire le informazioni più accurate possibili e facilmente utilizzabili, che possano poi informare la discussione pubblica e le scelte politiche della nostra società. In questo senso il mio ruolo e quello dei colleghi è cercare di rendere questa informazioni utilizzabili, presentandole in maniera facile da gestire.
Potremmo dire che la crisi climatica è né di destra né di sinistra.
Esatto. Infatti non mi pongo il problema dell’aspetto etico o morale del cambiamento climatico, piuttosto, come dicevo, mi interrogo sull’aspetto di gestione del rischio, perché alla fine possiamo avere delle idee diverse, ideologie diverse, però i dati sono dati. Che il mare il prossimo anno crescerà di 4 mm non è una cosa né di destra né di sinistra, è semplicemente un fatto.
Non c’è secondo lei un divario ormai manifesto tra la quantità di informazioni sul clima e l’azione?
Secondo me quella che gli inglesi chiamano “agency”, la capacità di prendere decisioni, è una cosa che spetta a noi come cittadini e alla nostra classe politica. Ripeto, sta a noi scegliere che futuro e che livello di rischio siamo disposti ad accettare. L’informazione scientifica chiara e trasparente è un valore aggiunto, nel senso che può guidare le nostre scelte ma non imporle. Quindi noi non possiamo dire se la scelta è giusta, ma possiamo dire con certezza che più ritardiamo il nostro cammino verso la decarbonizzazione più aumentiamo il nostro rischio.
Mitigazione e adattamento: l’umanità è sbilanciata sul secondo?
Secondo me non è una dicotomia quella tra adattamento e mitigazione, anche perché anche nel caso in cui adottassimo uno scenario di riduzione drastica dei gas serra comunque dovremmo affrontare un clima che già oggi non ha precedenti nella storia, quindi l’adattamento è inevitabile e sta già avvenendo. Però ancora non siamo preparati al rischio che stiamo correndo e che varrebbe la pena gestire. Siamo già di fronte a una serie di nuove normalità climatiche che stanno avendo conseguenze sulle nostre attività quotidiane. Un esempio sono i flussi turistici: i miei colleghi spagnoli mi dicono che già è netta la tendenza a una diminuzione in estate; ci sono poi casi più complessi come la siccità che abbiamo visto in Italia e in Spagna: queste siccità aumenteranno e questo sta già avendo degli impatti sulle nostre politiche di gestione idrica e dell’acqua potabile; penso anche agli incendi senza precedenti di questa estate pure meno estrema delle precedenti, in Portogallo, Francia, Spagna. I pompieri sostengono di non essere preparati a questi nuovi incendi, diversi dal passato.
Rispetto alla decarbonizzazione: se gli Usa tornano indietro, l’Asia corre sulle rinnovabili. È un motivo di speranza?
Le do la mia opinione personale: mi sembra che l’Asia e in particolare la Cina si stiano muovendo con una lungimiranza strategica che forse sta mancando all’Occidente. Ma indipendentemente dalla nostre visioni politiche e ideologiche, alcune cose succederanno e dunque decidere di investire come ha fatto la Cina in modo massiccio sulle rinnovabili, secondo me, va in una direzione strategica.
Infine, la COP30 in arrivo. Dobbiamo attenderci un’altra delusione?
Sulla COP non sono purtroppo particolarmente ottimista. Al di là della volontà che sicuramente c’è da parte del Brasile di renderla un momento di cambiamento, non mi sembra che ci siano le condizioni geopolitiche necessarie perché sia effettivamente il punto di svolta di cui abbiamo bisogno. Noi comunque continueremo a lavorare sulle informazioni. Quella del cambiamento climatico è la più grande sfida che ci siamo mai trovati ad affrontare però i satelliti, la nostra conoscenza scientifica e le capacità previsionali dei nostri modelli meteorologici ci danno informazioni mai avute prima. Questa conoscenza è il nostro salvagente: abbiamo i mezzi e gli strumenti che sono mancanti ai nostri antenati per capire il clima e questo ci può dare gli strumenti per fare scelte migliori.