Il calcio “pane e salame” di Gattuso: basterà per riportare l’Italia al Mondiale?
Basta braccetti che vengono in mezzo al campo ad impostare e terzini chiamati a fare gli attaccanti, sofismi, dissertazioni d’etica e morale, supercazzole varie e di ogni tipo. Siamo tornati al calcio pane e salame, i difensori che difendono e due punte grosse là davanti che pensino a far gol. Piaccia o meno, un po’ dovremmo anche vergognarcene, ma questa è l’Italia di Rino Gattuso.
Usciamo dalla sosta di ottobre con due vittorie e un sospiro di sollievo: scacciato lo spauracchio Israele (e tutte le vicende extra campo che questa sfida si portava dietro), abbiamo staccato il pass per i playoff mondiali. Ci giocheremo la qualificazione a Usa 2026 negli spareggi di marzo. È meno del minimo sindacabile, ma nemmeno questo era scontato per come si era ridotta la nazionale con l’ultimo Spalletti, umiliata dalla Norvegia a Oslo e poi imbarazzata anche dai dilettanti della Moldova, ad esonero del ct già comunicato.
Al di là dei risultati, delle quattro vittorie contro Estonia e Israele comunque preziose, Gattuso ha un merito: aver sgombrato la nazionale da sovrastrutture tattiche e mentali, evidentemente pretenziose per una squadra con poco talento e anche personalità, quindi inutili e anzi dannose, perché avevano finito per appesantire la maglia azzurra, diventata un fardello quasi insostenibile per tanti. Non che l’idea di Spalletti fosse in sé sbagliata: la ricerca di un calcio elaborato e moderno, in linea con ciò che si muove nel resto dell’Europa ai massimi livelli, è un proposito lodevole. Semplicemente non era la ricetta giusta, forse in generale proprio per la nazionale, dove manca il tempo materiale per attecchire principi troppo complessi, di sicuro per questa.
In maniera diametralmente opposta, Gattuso sta plasmando una nazionale a sua immagine e somiglianza: senza fronzoli, con un paio di certezze tattiche molto basilari e tanta voglia di applicazione. Il doppio centravanti è stata probabilmente la sua intuizione migliore, ha permesso di restituire verve ad un attacco che faceva tremenda fatica a segnare, e le 16 reti in 4 partite (pur con avversari modesti) sono lì a dimostrarlo. Contro Israele ha riprovato la difesa a tre, che forse non a caso ha funzionato meno del più lineare 4-4-2. Certo, contro avversari di maggior livello difficilmente l’Italia potrà permettersi di schierare due punte e due esterni offensivi, ma una variazione più accorta potrebbe prevedere l’utilizzo in fascia di giocatori di copertura, come Cambiaso o Spinazzola, già provati da Gattuso. Le gare di novembre contro Norvegia e Moldova, a questo punto ininfluenti, serviranno anche per questi esperimenti. Intanto c’è di nuovo un’identità, da cui partire.
La domanda è se il calcio semplice di Gattuso basterà per riportare l’Italia al Mondiale. Le due gare con Israele hanno comunque fatto emergere limiti piuttosto inquietanti: l’andata, un pazzo 4-5, si è risolta favorevolmente solo grazie ad un gollonzo nel recupero, al ritorno nonostante il punteggio rotondo abbiamo sofferto troppo nel primo tempo. Oggi immaginare l’Italia giocarsela contro le grandi del mondo, Francia e Argentina, Inghilterra e Brasile, è una prospettiva davvero troppo lontana. Ma anche uno spareggio in gara secca contro una nazionale di seconda o terza fascia rimane uno spauracchio. L’unica speranza è che l’Italia di Gattuso lo affronti senza paura: liberatasi da ogni forma di presunzione, ormai consapevole della propria dimensione mediocre, pronta alla battaglia perché nulla ci è più dovuto e dovremo sudare contro qualsiasi avversario. In fondo, se dovremo giocarcela alla pari anche contro le piccole Svezia, Repubblica Ceca o Slovacchia, le probabili rivali più pericolose, vuole dire che comunque abbiamo almeno il 50% di possibilità di farcela.