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“Non fu istigazione al suicidio”, assolto nell’appello bis l’attivista Emilio Coveri che fornì informazioni a una donna che morì in Svizzera

Nel primo giudizio d'appello l'ingegnere (difeso da Arianna Corcelli) era stato condannato a tre anni e quattro mesi di carcere, ma la Cassazione a febbraio 2024 aveva annullato la sentenza
“Non fu istigazione al suicidio”, assolto nell’appello bis l’attivista Emilio Coveri che fornì informazioni a una donna che morì in Svizzera
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Non fu istigazione al suicidio. Emilio Coveri, presidente dell’associazione torinese Exit-Italia, è stato assolto nell’appello bis. La Corte d’Appello di Catania, chiamata a giudicare per la seconda volta l’attivista fornì informazioni a una 46enne di Paternò su una clinica svizzera che permetteva la morte volontaria con il suicidio assistito. Nel primo giudizio d’appello l’ingegnere (difeso da Arianna Corcelli) era stato condannato a tre anni e quattro mesi di carcere, ma la Cassazione a febbraio 2024 aveva annullato la sentenza con rinvio segnalando “plurime lacune e fratture logiche” nella motivazione. In primo grado invece Coveri era stato assolto con formula piena nel giudizio abbreviato. Era il dicembre del 2021 e qualche settimana prima erano state depositate oltre un milione e 200mila firme per chiedere il referendum sulla eutanasia legale. Poi considerato inammissibile dalla Consulta.

Il caso di Alessandra Giordano

Alessandra Giordano era una donna di Paternò (Catania), di professione insegnante, morta nel 2019 in una clinica svizzera a Zurigo che pratica il suicidio assistito. La donna, secondo quanto è stato ricostruito, aveva 46 anni e soffriva di depressione e nevralgia cronica, la sindrome di Eagle. Si era iscritta all’associazione presieduta da Coveri un anno prima della morte, il 5 febbraio 2018. I contatti con l’associazione si erano interrotti ad agosto dello stesso anno, mentre nel gennaio del 2019 a seguito di un nuovo ricovero le sofferenze erano aumentate e Giordano si era nuovamente rivolta a Exit.

L’inchiesta

La procura etnea nell’ambito del fascicolo d’indagine ha passato al setaccio le comunicazioni intercorse tra la donna e il presidente dell’associazione fin dal 2017, compresa la ricostruzione di una telefonata in cui chiese a Coveri informazioni sulla “dolce morte” in Svizzera. Per i pm sarebbe stato Coveri a “determinare” o “rafforzare” il proposito di suicidio, inducendo anche la donna a iscriversi all’associazione Exit. Per la Cassazione invece “l’unico dato certo offerto dalla sentenza è che, a seguito di tale conversazione, la Giordano ha acquisito le informazioni necessarie per mettersi in contatto con la clinica svizzera ed avviare la pratica di suicidio assistito”. Nel processo i familiari della donna, che fecero di tutto per farla desistere dal suo proposito, si sono costituiti parte civile.

Solo informazioni

La signora, ha sempre sostenuto Coveri, “era una nostra associata e le abbiamo semplicemente fornito, su sua richiesta, le informazioni che le servivano per prendere una decisione. Una procedura normale”. Alessandra, aveva detto a indagine chiusa, “non ne poteva più delle sofferenze indicibili che aveva e che le avevano rovinato l’esistenza. Stava malissimo e aveva dovuto lasciare il suo lavoro di insegnante perché non riusciva a stare più in piedi dal dolore che aveva“.

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