Dal tweet pro-Pal del 2014 al silenzio: la contraddizione di Meloni è persino grottesca
di Paolo Gallo
Era una calda sera quel lunedì 28 luglio 2014. Roma sonnecchiava sotto il cielo estivo, con l’aria ancora tiepida, poco meno di 24 gradi, e le strade illuminate da quella luce gialla che sa di sonnolenza e sospensione. In quell’atmosfera, l’allora giovane Giorgia Meloni, all’epoca leader emergente di Fratelli d’Italia, affidava a Twitter un pensiero netto, inequivocabile: “Un’altra strage di bambini a #Gaza. Nessuna causa è giusta quando sparge il sangue degli innocenti. #Israele e #Palestina #duepopoliduestati”.
Parole pesanti, lanciate come fendenti. Un tweet che non lasciava spazio a dubbi: Meloni denunciava senza esitazioni la carneficina e, soprattutto, indicava una via politica chiara: il riconoscimento della Palestina accanto a Israele, due popoli e due Stati. Una presa di posizione che allora, da leader dell’opposizione, suonava coraggiosa e al tempo stesso funzionale a costruire un profilo politico diverso da quello dei suoi alleati di destra.

Dieci anni dopo, la scena è completamente cambiata. Giorgia Meloni non è più la giovane combattente che twitta indignata dalle retrovie, ma la Presidente del Consiglio di un Paese del G7, con i riflettori internazionali puntati addosso e probabilmente il telefono bollente di chiamate da Washington, Bruxelles e Tel Aviv. Improvvisamente, quella stessa parola – Palestina – sembra diventata impronunciabile.
Oggi, davanti a massacri ben più documentati, a crisi umanitarie che scuotono le coscienze globali, al genocidio riconosciuto senza se e senza ma, Meloni appare titubante, misura ogni sillaba, si rifugia in formule vaghe e diplomatiche, preferisce parlare di “cessate il fuoco umanitario” o di “soluzione condizionata”, senza mai avere l’audacia di dire chiaramente ciò che da giovane leader d’opposizione proclamava senza timore.
La contraddizione è lampante e diventa persino grottesca. Da un lato la Meloni del 2014, pronta a indignarsi in nome dei bambini di Gaza e a lanciare hashtag pacifisti. Dall’altro, la Meloni del 2025, imbrigliata nelle dinamiche del potere, che evita accuratamente di toccare certi nervi scoperti per non incrinare i rapporti con alleati strategici. Due Meloni, insomma: la pasionaria e la premier; la coraggiosa e la prudente; la coerente e la diplomatica (fino all’ambiguità).
Ma è proprio questo il punto: la politica italiana vive da decenni di memoria corta. Quell’antico tweet rimane lì, congelato, a ricordare a chi ha voglia di scorrere l’archivio che la coerenza non è mai stata il piatto forte del nostro ceto politico. In fondo, la giovane Meloni non è diversa da tanti altri che, da oppositori, si scagliavano contro i potenti e, una volta arrivati al potere, hanno riscoperto il gusto della prudenza. Solo che oggi la distanza stride di più. Perché non stiamo parlando di tasse o di riforme costituzionali, ma di vite umane, di tragedie, crimini che si ripetono sotto gli occhi del mondo. E allora quel tweet del 2014 diventa una cartolina ingombrante, che racconta meglio di mille discorsi come il tempo e le circostanze possano piegare le parole, svuotarle, addolcirle fino a renderle innocue.
Chissà se, rileggendo quelle 140 battute scritte dieci anni fa, la Giorgia di oggi prova un minimo di imbarazzo. O se invece, forte della convinzione che gli italiani abbiano la memoria corta, pensa che tutto resti sepolto sotto la polvere del tempo. Io, però, la memoria voglio conservarla. Perché la politica non è solo pragmatismo, ma anche responsabilità delle parole pronunciate. E ricordare serve: non per nostalgia, ma per smascherare l’eterna tentazione del potere di riscrivere se stesso.