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“Così raccogliamo fondi per costruire una scuola. Per i nostri figli è un’esperienza unica”: il viaggio epico di una famiglia italiana, in bici dallo Zambia al Ruanda in occasione dei Mondiali di ciclismo

Madre, padre e figli di 25, 12, 10 e 8 anni: insieme hanno percorso 1.500 km, tra la savana della Tanzania, le montagne del Burundi, le strade battute col fango: "Durante il nostro viaggio siamo sempre stati supportati e incoraggiati dalle varie popolazioni locali. La bicicletta, come tutto lo sport, diventa strumento di unione, condivisione e inclusività"
“Così raccogliamo fondi per costruire una scuola. Per i nostri figli è un’esperienza unica”: il viaggio epico di una famiglia italiana, in bici dallo Zambia al Ruanda in occasione dei Mondiali di ciclismo
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In un mondo sempre più dedito all’intolleranza, al fanatismo, all’odio. In un mondo sempre più avvezzo alla violenza, alla paura del diverso, alla sicurezza spacciata per libertà, questa storia apre uno squarcio verso chi crede che un mondo migliore, più decente e più dignitoso, sia ancora possibile.

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Prendete una famiglia. Madre, padre e figli di 25, 12, 10 e 8 anni. E metteteli a percorrere interamente in bici la savana della Tanzania, il Burundi, le strade inzuppate di fango e melma. Mille e cinquecento chilometri, da cima a fondo, totalmente in bicicletta, attraversando tre Stati, dormendo in tenda e in ostelli di fortuna.

Lei si chiama Giorgia Marchitelli. Ha 43 anni e viene da un paesino del veneziano. Lui, invece, è Matteo Sametti, classe 1969, di Legnano, provincia di Milano. La vita li ha fatti incontrare in Zambia e da lì non si sono più lasciati, hanno unito mondi e figli, culture e generazioni, saperi e mestieri, abbattendo barriere e confini. I loro figli sono nati in Zambia da padre e madre italiani, gli altri li hanno adottati. La loro felicità gliela vedi negli occhi, negli abbracci, nella gioia di stare insieme in un mondo dove non esistono razze.

Mercoledì 17 settembre, con i loro figli Winnie, Abraham, Osea e Giuditta, sono arrivati a Kigali, la capitale del Ruanda dove domenica 21 settembre sono iniziati i mondiali di ciclismo su strada, che per la prima volta nella storia, giunti alla 103 esima edizione, si tengono in Africa. Partiti il 21 agosto scorso da Kasama, città dello Zambia, hanno attraversato la savana della Tanzania, sono saliti e scesi lungo le montagne del Burundi, hanno percorso chilometri e chilometri su strade asfaltate, rocciose, battute con il fango e con la sabbia.

“Siamo sopravvissuti alla mosca tse tse”, racconta Giorgia al Fatto Quotidiano. Lei guidava l’ammiraglia: “Matteo e i miei figli hanno forato varie volte e riparato le bici grazie all’aiuto della gente del posto. Ma durante il nostro viaggio siamo sempre stati supportati e incoraggiati dalle varie popolazioni locali che incontravamo e dall’aiuto di fabbri e meccanici. Qualcuno diceva: ‘Non ci arriverete mai’ e invece. Penso che per i miei figli sia un’esperienza unica”.

Il piano iniziale era di entrare in Ruanda dal Burundi, ma questo non è stato possibile a causa della chiusura del confine tra le due nazioni. A bordo dell’ammiraglia c’era anche Daniel, in sedia a rotelle, affetto dalla sindrome di Lesch Nyhan, una rara malattia genetica che – racconta Giorgia – “non gli impedisce di affrontare queste avventure sempre con un sorriso sulle labbra. In linea con lo spirito del viaggio”.

Questo viaggio, a ben vedere, inizia oltre vent’anni fa, perché c’è sempre un punto nella vita, per chi si guarda dentro, che ti porta ad avere coraggio, sentire gli scarponi battere, e inseguire la tua strada. Anche se è faticosa, anche se è in salita. Anche se ti diranno che sei pazza. “Dopo il liceo – racconta Giorgia – ho fatto sei mesi di volontariato in Sudafrica in un orfanotrofio per bambini siero positivi. Da lì ho deciso di lavorare in Africa. Insomma, sono andata in Zambia come volontaria e i sei mesi sono diventati quindici anni”. Lì Giorgia conosce Matteo. Lui è un appassionato ciclista, esperto di lunghe distanze in Africa e nel 2012 pedalò da Lusaka a Londra su una bicicletta di bambù. “All’epoca Matteo – racconta Giorgia – con la sua ong stava cercando un volontario per organizzare un torneo di calcio in Zambia, con l’idea di usare lo sport come strumento di sviluppo e pace”.

Da qui nasce Sport2buildwww.sport2build.org – un’organizzazione “per offrire a tutti i bambini e i giovani in situazioni di emergenza, povertà e degrado uno strumento che li renda partecipi e attivi dal punto di vista sociale, fisico, psicologico, come lo sport”, spiega Giorgia. “In Zambia – racconta lei – siamo riusciti a realizzare il nostro sogno di fare una cooperazione che unisce lo sviluppo sociale a quello economico”. A una ventina di chilometri dal villaggio Mukwamba, dove vivono, hanno messo in piedi una falegnameria. “Per noi la falegnameria è come lavorare in una vera impresa e in Zambia è fondamentale. Abbiamo una ventina di ragazzi. Iniziano a lavorare da noi in apprendistato. Non hanno certificati, ma hanno tanta tanta buona volontà. Con noi imparano il mestiere e poi si iscrivono agli esami Teveta, che è una scuola professionale in Zambia”. I ragazzi hanno dai 18 ai 30 anni.

Grazie alla pedalata del marito a Londra, nel 2012 hanno costruito anche una scuola. La Chakwela Makumbi. “L’abbiamo costruita un po’ alla volta – spiega Giorgia – Quando Matteo è andato a Londra abbiamo iniziato a raccogliere i fondi. Abbiamo iniziato i lavori nel 2014 e li abbiamo terminati nel 2018”. Ora hanno 500 bambini, dall’asilo alle scuole medie. Tutti i maestri sono abilitati dal ministero dell’Istruzione zambiano. “Il prossimo obiettivo dell’organizzazione – dice – è la costruzione della scuola superiore per poter offrire ai bambini e ai ragazzi più vulnerabili un’offerta formativa completa. Questa pedalata, la Wheels to Kigali, cercherà di raccogliere fondi per la realizzazione della scuola superiore. È stata un’esperienza unica per i ragazzi che hanno attraversato villaggi rurali e impervie salite, entrando in contatto con culture e realtà diverse. Vogliamo dare un messaggio di speranza in questo momento dove guerre, paura e mancanza di fiducia nell’altro sembrano aver preso il sopravvento. La bicicletta come tutto lo sport, diventa strumento di unione, condivisione e inclusività”.

Ma com’è la vita lì? “Bè come ogni Paese, ha le sue difficoltà. Sono due anni per esempio che c’è pochissima corrente elettrica, a volte la riceviamo solo due ore al giorno. Abbiamo avuto tanti bambini, molti in affido. Alcuni sono tornati a vivere con le famiglie, altri sono ancora con noi. Daniel, il bambino con la sedia a rotelle, vive con noi da quando aveva sei mesi. Ora stiamo finalizzando la sua adozione. Winnie nostra figlia che di anni ne ha 25, ha pedalato con Matteo, vive con noi dal 2010. Poi abbiamo Abraham, Osea e Giuditta”. Quando sono venuti in Italia qualche anno fa, hanno portato i figli a visitare Roma. “Abraham era piccolo – racconta – e mi ha detto: ‘Roma è bella ma lo Zambia è il mio posto'”. Quando vi diranno che qualcosa è impossibile, non credeteci. Ognuno nel mondo può fare la sua parte.

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