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Le banche a Giorgetti: “No al contributo, veniamo da anni difficili”. Nel 2024 utili al massimo storico di 46,5 miliardi

Lo scontro ha del paradossale anche perché il "contributo doveroso" che il titolare del Mef dice di voler chiedere agli istituti in vista della manovra promette di rivelarsi un altro bluff
Le banche a Giorgetti: “No al contributo, veniamo da anni difficili”. Nel 2024 utili al massimo storico di 46,5 miliardi
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Appena ieri Giancarlo Giorgetti ha ricordato gli “utili stratosferici” e definito “assolutamente doveroso” chiedere il contributo alle banche sollecitato da Matteo Salvini per finanziare un “sollievo fiscale”. Nessuna “crociata”, ha assicurato il ministro dell’Economia, ma la richiesta di un segnale da un comparto che negli ultimi anni ha macinato profitti senza precedenti. Oggi è arrivata la risposta del presidente dell’Associazione bancaria italiana Antonio Patuelli, che ha scelto di alzare le barricate.

Dal palco dell’Università Link di Roma, il numero uno dei banchieri ha rivendicato un’immagine completamente diversa del settore: “Le banche non hanno rendite di posizione e vengono da anni difficilissimi – ha sostenuto – segnati da crisi di imprese e del debito sovrano, recessioni, epidemie, catastrofi naturali e guerre. Prove affrontate con grandi aumenti di capitale, accantonamenti e ristrutturazioni socialmente rispettose, sempre concordate con i sindacati”. Oltre a “farsi carico delle forzate risoluzioni e degli altri oneri delle crisi e dei salvataggi di banche concorrenti”, salvo il caso di “una sola banca nazionalizzata”, ovvero quel Monte dei Paschi i cui nuovi azionisti Delfin e Caltagirone, con il sostegno del governo, hanno dato l’assalto a Mediobanca conquistandola e assicurandosi così anche il controllo di Generali.

Uno scontro che ha del paradossale da molti punti di vista. Da un lato, i bilanci degli ultimi tre esercizi raccontano un comparto tutt’altro che in sofferenza. Dall’altro, il “contributo” che il titolare del Mef dice di voler chiedere promette di rivelarsi un altro bluff.

Partiamo dai numeri. Nel 2024 il settore ha segnato un nuovo massimo storico con 46,5 miliardi di utili netti, +14% rispetto al 2023. Nel triennio 2022–2024 i profitti cumulati hanno superato i 112 miliardi, un livello mai visto nemmeno prima della crisi finanziaria del 2008, come ha rilevato un rapporto della Fabi. Il rialzo dei tassi deciso dalla Banca centrale europea ha gonfiato i margini sull’intermediazione creditizia trasformando i prestiti a famiglie e imprese in una macchina da redditività. Un confronto con gli anni precedenti è eloquente: tra il 2018 e il 2021 i profitti annuali oscillavano tra i 15 e i 16 miliardi, con l’eccezione del crollo pandemico del 2020. Dal 2022 in avanti la svolta: 25,5 miliardi, poi 40,7 miliardi nel 2023, fino al record dello scorso anno. Altro che “anni difficili”: per le banche italiane, il triennio appena concluso è stato il più redditizio della storia recente.

Una bonanza a fronte della quale il governo Meloni non ha in realtà mai preteso contributi straordinari. La tassa sugli extraprofitti annunciata nell’agosto 2023 ha causato uno psicodramma nella maggioranza, con Forza Italia nettamente contraria, ed è stata depotenziata in tutta fretta trasformandola nell’obbligo di destinare un certo importo a riserva non distribuibile. L’anno scorso, poi, il “contributo di solidarietà” si è ridotto a una sospensione per due anni dell’uso delle imposte differite attive come crediti di imposta, per un valore di poco meno di 3,5 miliardi. Risorse che sono finite subito nelle casse dello Stato, ma che gli istituti recupereranno integralmente tra il 2027 e il 2030. In sostanza, tasse pagate prima per pagarne meno dopo: un anticipo di liquidità, non un vero prelievo. Il contributo netto alla manovra, legato a un paio di ritocchi fiscali, è stato invece di appena 695 milioni. Meno dell’1,5% degli utili dell’anno.

Il mese scorso, in vista della prossima legge di Bilancio, il Carroccio è tornato a chiedere che gli istituti contribuiscano alle coperture. Ma l’unica ipotesi concreta è quella di allungare di un altro anno il congelamento delle imposte differite. Ancora una volta solo un anticipo.

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