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Silvia Salis federatrice del partito dei profit oriented: la chiusura di un cerchio

Sebbene l'illusionista venuta da Roma lo neghi, un tale progetto potrebbe avere successo. A Genova la Salis evita con cura ogni posa che potrebbe smascherarne gli intenti
Silvia Salis federatrice del partito dei profit oriented: la chiusura di un cerchio
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Nella Genova che si era puerilmente illusa di un ritorno alla politica targata sinistra confidando in Silvia Salis sindaca, circolano due scuole di pensiero sulle strategie predisposte per la sgomitante quarantenne in carriera dall’entourage che ne programma l’irresistibile ascesa, presunta; che dovrebbe culminare nel guanto di sfida a Giorgia Meloni alle politiche del 2027.

La prima ipotizza una marcia di avvicinamento allo scontro preceduta dalla conquista della leadership nel Pd, offrendo la propria immagine patinata ai congiurati stufi della tarda-sessantottina Elly Schlein. Mossa in apparenza obbligata ma che potrebbe non rientrare nei disegni di chi considera l’ennesima mutazione dei partiti egemoni in Prima Repubblica (PCI + Sinistra DC) alla stregua di una zavorra. Per cui si scannino tra di loro; e poi c’è già in casa il rimpiazzo alla segreteria nel sempre frizzante (?) non meno che accomodante Paolo Gentiloni.

Sicché la sindaco genovese “di passaggio” è sospettata di coltivare ben maggiori ambizioni: federare l’area dell’opposizione nel definitivo contenitore dei politicanti profit oriented, vulgo “sinistra alla moda”, dei sindaci protettori dell’affarismo (Sala & Co.) e i cloni di Terza Via, da Carlo Calenda a Matteo Renzi. Insomma la fauna, in ritardo di un quattro decenni follower del Tony Blair; lo svenditore del laburismo ai mercati finanziari, oggi ridotto ad agente immobiliare al servizio del progetto indecente di trasformare la striscia di Gaza depurata dei palestinesi in una sorta di Montecarlo mediorientale.

Sebbene l’illusionista venuta da Roma lo neghi (come negano il suo biondo naturale le sopracciglia nero pece), un tale progetto potrebbe avere successo in quanto chiusura del cerchio di una trasformazione in atto ai vertici delle società occidentali, che rimbalza anche qui da noi: il ricambio delle vecchie élites con folte combriccole di arrampicatori e arrampicatrici sociali che, nel caso della politica, coltivano l’idea che ideologie e valori sono soltanto dei ferrivecchi da sostituire con sagaci calcoli delle convenienze. La scomparsa dai nostri orizzonti della socialità/solidarietà soppiantata dall’avidità a seguito della contro-rivoluzione reaganiana; che Silvio Berlusconi importò in Italia negli anni 90. Per cui la Salis viene segnalata propugnatrice del principio “la sinistra deve stare dalla parte dei primi”, che nel caso genovese rispondono ai nomi del terminalista Aldo Spinelli e dell’armatore Gianluigi Aponte.

Insomma, la pulizia etnica dilaga come caccia ai poveracci in tutto l’Occidente. Italia compresa, con una marcata presenza al femminile, tipo Giorgia Meloni e Daniela Santanché; ma anche a sinistra non si scherza, dalle Lelle Paita e Marie Elene Boschi antesignane dell’ultima arrivata, la martellista olimpica clonata nel laboratorio di attrezzaggio al potere del Coni alla Malagò e tirata su ad abboffate del generone romano più cinico e carrierista. Le vestali dei rapporti di forza vigenti e dell’omaggio al potente di turno (sperando che non pretenda il bacio delle terga).

In generale, dal punto di vista dell’avvenuto ricambio (al peggio) della composizione umana ai vertici della piramide sociale, si comprendono molte cose altrimenti inspiegabili: tipo l’insofferenza nei confronti dei lavoratori, il bellicismo di Bruxelles pro fabbriche di armi o l’acquiescenza di certa sinistra nei confronti di Israele, che trasforma la più grande tragedia del ‘900 – l’olocausto – in una rendita comunicativa che giustifica ogni malefatta e consente a Netanyahu di sfuggire alla giustizia.

A Genova, poi, la Salis evita con cura ogni posa che potrebbe smascherarne gli intenti, come l’abbraccio mortale da parte di Matteo Renzi, infoiato all’idea di poter sinistrare ulteriormente la Sinistra suo tramite. Ma poi – talvolta – le scappa il piede dal freno e la sua vera cultura anti-demos salta fuori. Come nell’intervista a due voci col presidente di Regione Liguria, il destrorso ex-totiano Marco Bucci, apparsa l’11 settembre sul Secolo XIX. Il tema è la politica della multi-utility Iren, largamente partecipata dai Fondi speculativi americani con in testa Blackrock; che distribuisce energia e acqua a Genova e La Spezia.

“Tra noi c’è grande identità di vedute” dice Bucci. Risponde Salis: “gli attuali consiglieri d’amministrazione [nominati dalla giunta di destra] è giusto proseguano il loro lavoro”. Considerando che la società pubblica gestisce le forniture idriche per il 70% dei residenti liguri, forse ci si poteva aspettare qualche considerazione sui costi a metro cubo dell’acqua, sui forti rincari in continua ascesa, sulla percentuale di perdite in rete per dispersioni. Magari qualche parola sull’importanza di mettere al primo posto le attese dell’utenza e sul principio dell’acqua bene comune, sancito da ben due referendum e mai messo in atto. Nessun accenno neppure sul costo del gas, e tantomeno sul ciclo dei rifiuti urbani. Servizi gestiti da Iren. Sempre avvalorando la necessità di fare utili da distribuire in dividendi ai soci, a scapito della qualità del servizio.

Insomma, un’occasione mancata, che comunque rivela la comune adesione ai diktat della finanziarizzazione da parte di due amministratori che dovrebbero rappresentare culture politiche contrapposte. Anticipazione di futuri assetti nazionali?

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