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“Almasri responsabile di 34 omicidi e 22 stupri. Il governo temeva vendette dai libici sui migranti”: la relazione in Giunta

Il deputato Pd Federico Gianassi introduce il caso con argomentazioni dure nei confronti dei ministri indagati. E la maggioranza punta al conflitto d'attribuzione per salvare Bartolozzi
“Almasri responsabile di 34 omicidi e 22 stupri. Il governo temeva vendette dai libici sui migranti”: la relazione in Giunta
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Oltre cinquemila persone incarcerate “senza basi giuridiche, senza cure mediche e senza contatti familiari, subendo torture, interrogatori coercitivi e condizioni detentive disumane, con celle sovraffollate, non ventilate, caratterizzate da malnutrizione e isolamento forzato”. E poi “numerose accuse di violenze sessuali, 22 delle quali documentate“, nonché “almeno 34 omicidi: quattro per ferite da arma da fuoco, 12 per torture, 16 per mancanza di cure mediche e due per esposizione a condizioni climatiche estreme”. E ancora “torture attraverso percosse con pugni, tubi in plastica, bastoni, scariche elettriche, costrizioni a posizioni di stress come il balanco o la falqa, nonché la detenzione in spazi angusti”. Nelle 35 pagine di relazione preliminare alla Giunta per le autorizzazioni sul caso Almasri, il deputato Pd Federico Gianassi ha scelto di riportare nel dettaglio le contestazioni della Corte penale internazionale al generale libico e alla Rada, la polizia speciale di cui era a capo. Un modo per rimarcare la delicatezza della decisione affidata alla Camera: quella di mandare o meno a processo due ministri, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, e il sottosegretario delegato all’intelligence Alfredo Mantovano, accusati di favoreggiamento per aver consentito la scarcerazione e il rimpatrio di Almasri, ricercato dalla Corte penale internazionale e arrestato dalla Digos a Torino. In questo senso la scelta del presidente della Giunta, Devis Dori di Avs, di nominare un relatore di opposizione sta mostrando i suoi primi effetti: nella presentazione del caso infatti si intravedono già gli argomenti che Gianassi userà, con ogni probabilità, alla fine dell’istruttoria per proporre ai colleghi di dire sì all’autorizzazione a procedere chiesta dal Tribunale dei ministri. Una richiesta che, va da sé, sarà bocciata dalla maggioranza e obbligherà il presidente Dori a nominare un nuovo relatore, questa volta di centrodestra.

Nella prima parte della relazione, il deputato dem – avvocato fiorentino alla prima legislatura, già assessore nelle giunte di Dario Nardella – cita il mandato d’arresto emesso dal Tribunale dell’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità, secondo cui gli appartenenti alla milizia libica “avrebbero colpito donne, minori e uomini detenuti” ed “effettuato stupri, molestie e perquisizioni corporali umilianti, anche pubbliche”. Ai membri della Rada è contestata “una condotta persecutoria sistematica” consistita “in privazioni di diritti fondamentali, lavori forzati, maltrattamenti e indottrinamento religioso”: Almasri, in particolare, “ordinava di percuotere i detenuti senza lasciare tracce visibili e puniva le guardie che, impietosite, consentivano ai detenuti contatti con i familiari o approvvigionamento di cibo di migliore qualità”. Fatta questa premessa, e citando gli atti del Tribunale dei ministri, Gianassi sottolinea poi la stretta relazione tra il governo italiano e la Rada, “rafforzatasi nell’ultimo anno“, ventilando che le nostre autorità fossero ricattate dai libici: tra i timori del governo dopo l’arresto di Almasri, scrive, c’erano anche “quelli legati all’immigrazione“, poiché la milizia “esercita i poteri di sicurezza” nella zona di Tripoli e avrebbe potuto aprire le porte a un esodo incontrollato. Per questo, si legge, l’esecutivo ha deciso di lasciar scarcerare Almasri dalla Corte d’Appello di Roma, obbligata dall’inerzia del ministero della Giustizia, e poi di rimpatriarlo con un volo dei servizi “già predisposto prima della decisione sulla scarcerazione”. Non solo: il deputato ricorda che la premier Giorgia Meloni aveva difeso il rimpatrio di Almasri per ragioni di sicurezza, “come conseguenza della scelta autonoma della magistratura di disporre la scarcerazione”, nonostante “dalla successiva istruttoria del Tribunale dei Ministri emerga la strategia condivisa dai membri del governo”.

Mercoledì, nella seduta della Giunta sul caso, la maggioranza ha ventilato l’ipotesi di sollevare un conflitto di attribuzione contro i giudici romani per la mancata richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto del ministro della Giustizia: ad avanzare l’ipotesi a nome di tutto il centrodestra è stato il deputato di Fratelli d’Italia Dario Iaia. Come emerso martedì, Bartolozzi è indagata per le presunte false dichiarazioni rese ai giudici in fase di indagine sul ruolo di Nordio nella vicenda: si tratta di un reato collegato a quello di cui sono accusati i ministri, ma non commesso in concorso con loro. In teoria, quindi, per procedere contro la dirigente non dovrebbe essere necessaria l’autorizzazione parlamentare. Lo ha chiarito lo stesso presidente Dori parlando ai cronisti: il reato contestato a Bartolozzi è “autonomo rispetto a quelli che riguardano i ministri e il sottosegretario, quindi non sussiste alcun concorso. La legge parla solo di concorso e non di connessione”. Eppure dalla maggioranza vogliono provarci lo stesso: “C’è la possibilità teorica che, anche nei confronti della dottoressa Bartolozzi, pervenisse una richiesta di autorizzazione come imputata laica che invece non è arrivata. Abbiamo chiesto di approfondire la questione agli uffici per capire se ci può essere un’ipotesi di richiesta di autorizzazione che doveva essere trasmessa e di conseguenza un conflitto di attribuzione”, viene spiegato.

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