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La ragione dell’impotenza Ue è la linea perseguita. Invece Draghi al meeting di Rimini ricorre a una scappatoia

L'intervento di Stefano Fassina
La ragione dell’impotenza Ue è la linea perseguita. Invece Draghi al meeting di Rimini ricorre a una scappatoia
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di Stefano Fassina

Mario Draghi è personalità rappresentativa della classe dirigente tradizionale. Da policy maker ne ha coltivato interessi e ora, da policy advisor, ne anticipa orientamenti. Va seguito. Nella lectio al Meeting di Rimini, ha preso atto del tramonto della stagione neo-liberale e della marginalità dell’Unione europea.

Come da manuale, ha individuato, quale causa dell’irrilevanza di quest’ultima, l’insufficiente integrazione politica e l’incompleta penetrazione del mercato unico. Quindi, ha sollecitato i leader a “ritrovare unità d’azione” per pesare nelle relazioni economiche, politiche e militari con i super-Stati.

È segno di realismo da parte del nostro ex premier abiurare, certo implicitamente, il credo ventotenista degli Stati Uniti d’Europa e riconoscere che, nel ritorno della politica alla guida dell’economia, per produrre essenziali e urgenti beni pubblici europei e risalire nel gioco della grandi potenze, l’ “azione comune” può essere generata soltanto dal concerto di Stati nazionali, l’unica dimensione politica democratizzata dall’umanità.

È, invece, comoda scappatoia di deresponsabilizzazione politica spiegare la debolezza dell’Ue con carenza di istituzioni sovranazionali liberate dal freno dell’unanimità: sui dossier richiamati a Rimini – Ucraina e scambi commerciali – i governi si sono espressi all’unisono.

La ragione decisiva dell’impotenza Ue è, in verità, la linea perseguita. Innanzitutto, la subalternità all’establishment neocon alla guida dell’Amministrazione Biden e dominus nei Democratici a stelle e strisce. Quindi, l’interpretazione della Russia come “minaccia esistenziale” e, a cascata, la scelta di intrupparsi militarmente nella crociata occidente contro il resto del mondo, salvo poi rimanere spiazzati dal pragmatismo obbligato della presidenza Trump in Alaska.

Da qui, dalla dipendenza militare per “la pace attraverso la forza”, è discesa la resa senza condizioni sull’acquisto di armi e energia made in Usa e l’impossibilità di negoziare sui dazi. In più, sul commercio internazionale, materia interamente delegata alla Commissione, finanche dotata di bazooka attivabile a maggioranza degli Stati membri (l’Anti-coertion instrument), si è aggiunta l’ostinazione a puntellare l’ordine mercantilista dell’Eurozona, divenuto velleitario per gli strutturali limiti di indebitamento interno ed estero del consumatore di ultima istanza a Washington e per la rivolta delle sue classi medie e delle sue periferie operaie spiaggiate.

Sul mercato unico, Draghi, come Enrico Letta nel Rapporto a Ursula Von der Leyen, ne rimuove la funzione programmatica di svalutazione del lavoro. Poiché in esso non si compete alla pari, ma vige feroce il dumping fiscale – spesso paradisiaco – e salariale, estenderlo e approfondirlo aggraverebbe sofferenza sociale e rischi democratici. Almeno ex-post, va preso atto che l’allargamento a Est è stato moltiplicatore di squilibri economici e geopolitici e che è ora di fermarsi, correggere, evitare ulteriori ingressi e costruire vie alternative di solidarietà e cooperazione con l’Ucraina e gli altri in lista d’attesa.

Insomma, l’azione comune degli Stati Ue, anche mediante cooperazioni rafforzate, è condizione necessaria per conquistare spazio politico sullo scenario multipolare, evaporata l’illusione dell’unilateralismo yankee attraverso il mercato scatenato. Ma non sufficiente. È decisivo che le nazioni della “vecchia Europa” maturino cultura politica e consapevolezza storica adeguate. Attivino il loro asset distintivo sul versante geopolitico: il soft power per un’Ue ponte tra Est e Ovest, Nord e Sud del pianeta. Superino l’impianto ordoliberista di Maastricht per orientare la politica economica verso la domanda interna. In sintesi, prevalgano gli interessi economici da lungo tempo al margine: il lavoro e la piccola impresa.

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