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Concessioni balneari, l’associazione Arca: “L’Italia è risultata ignorante, oltre che inadempiente”

La spiegazione dell'ultima sentenza della Corte di Giustizia
Concessioni balneari, l’associazione Arca: “L’Italia è risultata ignorante, oltre che inadempiente”
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di Florida Nicolai, ARCA (Assieme per la rigenerazione e la cura dell’ambiente)

Con l’ordinanza C464/24 del 4 giugno 2025, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha riaffermato, con fermezza, che le concessioni demaniali marittime a fini turistico-ricreativi rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/123/CE (“direttiva servizi”) e non possono essere rinnovate automaticamente, nemmeno in virtù di normative nazionali successive.

La pronuncia, resa su rinvio pregiudiziale del Giudice di Pace di Rimini, si inserisce nel contenzioso tra la società Balneari Rimini e il Comune di Rimini, quest’ultimo intenzionato a disapplicare la proroga fino al 2033 prevista dalla legge italiana, in attuazione degli obblighi derivanti dal diritto UE.

È opportuno fare chiarezza perché, negli ultimi mesi, diversi organi di stampa e commentatori hanno diffuso interpretazioni fuorvianti o parziali sull’ordinanza della Corte di Giustizia. Tra queste, in particolare, che le concessioni precedenti al 2009 sarebbero escluse dal campo di applicazione della direttiva europea o che i concessionari balneari svolgono funzioni pubbliche tali da escluderli dalle regole di concorrenza europee.

Di fronte a questa confusione informativa, è doveroso riportare l’attenzione sui dati giuridici certi: la Corte non introduce nuovi obblighi, ma ribadisce quelli già esistenti per garantire trasparenza, concorrenza e legalità nell’uso del demanio marittimo.

La Corte ha chiarito che:

• le concessioni balneari su aree costiere costituiscono una risorsa naturale scarsa e, come tali, soggette a obbligo di procedura selettiva (art. 12 direttiva 2006/123);

• il rinnovo automatico di tali concessioni è vietato dal diritto dell’Unione;

• anche se una concessione è stata originariamente assegnata prima del 28 dicembre 2009 (termine ultimo per la trasposizione della direttiva), essa rientra nell’ambito della direttiva se rinnovata dopo tale data.

La Corte richiama le sue precedenti sentenze in materia (in particolare Promoimpresa, C458/14 e C67/15, e Ginosa, C348/22) e ribadisce l’obbligo per gli Stati membri di garantire concorrenza, imparzialità e trasparenza nell’accesso al demanio costiero.

La decisione è stata adottata nella forma dell’ordinanza motivata, in virtù degli articoli 99 e 53, par. 2, del Regolamento di procedura della Corte. Tale forma è significativamente utilizzata:

• quando la risposta può essere chiaramente dedotta da giurisprudenza consolidata (art. 99);

• quando il rinvio pregiudiziale è manifestamente irricevibile per carenze argomentative o documentali (art. 53, par. 2).

La Corte ha quindi agito per economia processuale, evitando una nuova sentenza poiché i principi giuridici applicabili risultavano già consolidati, e richiamando implicitamente la giurisprudenza purtroppo trascurata dal giudice nazionale.

Sebbene l’ordinanza non contenga un “rimprovero” diplomatico formale, essa rappresenta un chiaro monito giuridico e istituzionale: le proroghe automatiche o generalizzate delle concessioni – anche se disposte dal legislatore nazionale – sono contrarie al diritto dell’Unione e devono essere disapplicate da autorità amministrative e giudici nazionali.

La scelta della Corte di ricorrere a una ordinanza piuttosto che a una sentenza completa segnala dunque che l’inadempienza dell’Italia non è più oggetto di discussione giuridica, ma una violazione accertata e reiterata: la risposta con ordinanza è una dichiarazione esplicita, inequivocabile, che le questioni erano già chiaramente risolte in precedenti sentenze (come le sentenze Promoimpresa del 2016 e Ginosa del 2023), e che alcune domande del giudice italiano erano mal poste, prive di fondamento giuridico e del necessario collegamento con il caso concreto.

Insomma, l’Italia è risultata ignorante, oltre che inadempiente.

Per concludere, dunque, l’ordinanza rafforza l’obbligo, già ampiamente noto e vincolante, per lo Stato italiano di porre fine alle proroghe senza gara; di garantire la concorrenza nell’assegnazione delle aree demaniali marittime; di adeguarsi immediatamente alla normativa europea, anche in assenza di una riforma legislativa organica. Ogni ulteriore dilazione rappresenterebbe una violazione evidente del diritto UE, con potenziali conseguenze sul piano finanziario e reputazionale.

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