Due decessi per il Taser, così lo Stato protegge se stesso e sacrifica chi è in prima linea
di Luca Spagnolo, sindacalista
Dopo la morte di un uomo a Olbia, un’altra vita viene spezzata a Genova per mano di un’arma potenzialmente non letale: il Taser. Due decessi in meno di 48 ore che squarciano il velo dell’ipocrisia e sollevano un interrogativo che gli organi di Governo e dell’intero arco parlamentare sembrano non voler affrontare.
L’autorità giudiziaria, come “ormai” da prassi, indaga l’ultimo anello della catena: i quattro carabinieri. I “lavoratori della sicurezza” si trovano ora sul banco degli imputati. Un copione già visto, l’ennesima ingiustizia. Ma il punto non è lì, il punto è a monte.
Mentre la politica si divide tra chi difende a spada tratta il taser e chi la definisce “strumento di tortura”, sarebbe più giusto sollevare una questione più urgente: il Taser è così “sicuro”? Se lo è, come mai ci sono state due vittime nelle ultime 48 ore?
La verità è che l’adozione di quest’arma è stata una scelta politica, richiesta da tempo dagli addetti ai lavori, frutto di commissioni, pareri tecnici, per poi infine essere acquistata con denaro pubblico. Una catena di responsabilità che parte dal Governo, passa dai vertici delle Forze di Polizia e arriva fino a chi, in strada, ha ricevuto l’ordine di usarlo.
E allora, perché la magistratura non indaga anche chi ha deciso di adottare questo strumento? Chi ha valutato i rischi? Chi ha formato il personale sapendo che l’arma poteva uccidere e magari non lo ha comunicato a chi doveva utilizzarla?
Mentre stiamo qui commentare sotto l’ombrellone la più classica delle notizie di cronaca di fine estate, si apre un procedimento penale contro i carabinieri, ma non contro chi, seduto in poltrona, ha deciso di affidare loro uno strumento la cui sicurezza sembrerebbe poter essere messa in discussione. È la solita, triste storia: lo Stato protegge se stesso e sacrifica chi è in prima linea. Ai Carabinieri, a questo punto, non possono bastare le gradite attestazioni di vicinanza da parte dei vertici dell’Arma e del Governo, ma attendono una doverosa assunzione di responsabilità con azioni tangibili, degne di un paese civile.
In uno stato di diritto è doveroso per chiunque esprimere vicinanza ai familiari delle vittime, ma è ancor più doveroso difendere l’operato delle Forze dell’Ordine, chiedendo alla solerte magistratura di fare presto luce sulle reali responsabilità. L’Italia si ritrova con forze dell’ordine a cui si chiede di agire con prontezza, fornendo loro un’arma potenzialmente letale, il cui utilizzo però si trasforma in una beffa, l’ennesima, che i lavoratori della sicurezza non possono essere costretti a subire.