Addio a Mauro Del Corno, la famiglia del Fatto Quotidiano in lutto. Cazzeggio, rigore morale, El pueblo unido come suoneria: i nostri ricordi
Mauro Del Corno non c’è più. Il nostro collega e amico è morto improvvisamente a 53 anni durante una vacanza a Samarcanda con la compagna Valeria e il figlio Alessandro. Giornalista economico sui generis, Mauro era arrivato al Fatto Quotidiano nel 2020 dopo una lunga esperienza a Radio24. Prima a Sono le Venti, l’approfondimento giornalistico di Peter Gomez, poi nella piccola-grande-inaffondabile famiglia de ilfattoquotidiano.it.

In questi cinque anni al Fatto ha scritto di mercati e grande finanza, di petrolio, di Russia, di lavoro e di capitale, sempre lasciando il segno. Il piglio etico, la critica alle distorsioni della finanza e le ingiustizie del capitalismo erano la cifra di ogni sua cronaca. Onnivoro e bonario, riservato quanto pungente, Mauro era allergico all’idea del cronista-macchina. Incarnava al contrario l’idea del giornalista che non crede alla neutralità delle parole e non fa niente per nasconderlo.
Inattesa, ingiusta, improvvisa, la sua morte lascia un senso di vertigine. Alla sua famiglia e ai suoi cari l’abbraccio affettuoso di tutti noi.
IL RICORDO DEI COLLEGHI
Non so davvero da dove cominciare, Mauro. L’incredulità e la tristezza mi annebbiano. Il primo pensiero che affiora è quel tuo modo educato, anzi sornione, di introdurre con me i temi che volevi affrontare. Arrivavi nel mio ufficio, mi agganciavi con una battuta, poi con poche parole e molte pause mi spiegavi perché fosse utile, necessario, urgente, occuparci di quello a cui avevi pensato, a cui ti eri ispirato leggendo giornali esteri e spesso avevi già approfondito. Non ci avevo mai pensato, ma il tuo tratto distintivo erano proprio quelle pause, il tempo di riflessione che ti prendevi e che lasciavi all’interlocutore: una modalità distantissima dalla velocità a cui siamo (o ci sentiamo) costretti normalmente nel nostro lavoro. Tu lo facevi su tutto, perché cinque anni insieme in redazione comprendono tanto confronto, con qualche incursione nella vita personale (e le pause, quando accennavamo all’adolescenza dei nostri figli, diventavano complici). Le tue idee erano radicate, non le nascondevi, ma le declinavi in proposte giornalistiche per evidenziare l’ipocrisia e le contraddizioni del sistema mediatico, finanziario, politico. Non ti tiravi indietro. Sorrido ripensando al tuo saluto, ogni sera, ironico e immutabile: “Boss, io andrei”. Pausa. Ciao, Mauro.
Simone Ceriotti
“Raghashish, ci vediamo domani”. Nella routine sempre uguale di quelle famiglie chiamate redazioni ogni gesto che si ripete diventa un rito. E il saluto di fine giornata di Mauro, quel saluto un po’ cazzone, rito lo era diventato subito, dopo pochi mesi dal suo arrivo. Mauro, così fuori dagli schemi, così diverso, dai ritmi tutti suoi, con quella espressione tra lo svampito e l’annoiato che in realtà serviva a coprire idee ed etica granitiche, molto più delle mie. Quindi capitava di infervorarsi, di litigare perché io sono molto elastico, lui per nulla, almeno su alcuni temi. Aveva ragione lui: su certe cose non possono esserci mezze misure, Mauro me lo ha insegnato con i suoi mugugni e i suoi messaggi su whatsapp. La nostra chat, che fino a ieri era un porto franco contro il politicamente corretto, in cui poter parlare di tutto, senza i filtri del “conviene dire così” che per noi, nati negli anni ’70, non sono mai facili da applicare, mai automatici. Era il nostro nascondiglio, quello in cui gli confessavo che la sera prima gli avevo fregato un tocco di cioccolato fondente, che nel suo cassetto non mancava mai. Ciao amico mio, grazie per avermi insegnato che non va bene tutto.
Pierluigi Giordano Cardone
Diego Pretini
“Si è svegliato”, diceva. E io sapevo che parlava di Trump. “Porcoddue”, diceva. E stavamo per iniziare a discutere su Gaza. “Sì, vabbé”, diceva. E io capivo che von der Leyen ne aveva sparata un’altra. “Ah, sì?”, diceva. E io: “Sì Mauro, lì non ci va lo spazio”. Mauro lasciava un sacco di vuoti: spazi, doppi spazi, tripli spazi. Metteva il bianco anche tra % e il numero. Credo me lo facesse apposta: perfetta nemesi del redattore nevrotico e ossessionato dalla precisione formale, preferiva un altro tipo di rigore. Morale. Argomentativo. Etico.
Ciao Mauro, che casino di spazi che hai lasciato. Pesco da questi cinque anni. Cazzeggio (tu). Sfuriate (io, tu impassibile). Critica marxista (tu), sciocchezze di Instagram (più tu, ma anche io). Massimi sistemi (io), sarcasmo (tu). Che amarezza per il panorama davanti ai nostri occhi (io). “Vabbè (tu), ma poi facciamo la rivoluzione”.
Fabio Amato
Ciao Maurone, non so nemmeno perché mi sto rivolgendo a te. Dicono faccia bene, un po’ come i funerali: si chiude un cerchio, si permette al dolore di fare il suo corso e di approdare a una sorta di stazione. Che sia il capolinea, non lo so. Non so nemmeno se funzioni; in questo momento non so proprio nulla. Dicono anche che resti una traccia, delle persone che muoiono. Spirituale, materiale. Io ora ti vedo, come ogni giorno, seduto alla tua scrivania di fronte alla mia, ma mi domando se ti vedrò ancora tra un anno, dieci, venti. Intanto mi porto via ciò che abbiamo condiviso: la letteratura, la filosofia, l’indignazione e certi segni del sole sulla pelle. Tengo con me il tuo fermacarte a forma di tavola da surf, sono sicuro ti vada bene. Un abbraccio grande come il mondo a te, Valeria e Alessandro.
Alberto Marzocchi
Un libro da consigliare, una notizia di scienza da suggerire, un confronto duro sulla politica estera. E poi quanto mi facevi incazzare quando guardavi le ballerine oppure il mio enorme piatto di pasta e dicevi: “Ma si può?”. Oggi vorrei poter litigare con te su tutto: Gaza, scarpe, carboidrati o Il capitale e invece ho un chiodo nella tempia sinistra da quando ho saputo. Il dolore che ci colpisce è più soffocante perché inatteso. Un abbraccio enorme a chi ti amava e anche quelli con cui litigavi
Giovanna Trinchella
Mauro mi raggiungeva spesso alla mia postazione per spulciare nella mazzetta dei giornali che di solito vengono depositati di fianco al mio PC. E da lì, in pochi secondi, ogni pretesto era buono per iniziare a scherzare sulla notizia del giorno, sugli inserti del lusso che arrivavano in redazione e facevano inevitabilmente sfociare il dibattito nel consueto e sarcastico manifesto anticapitalista. “Mauro che giornale sei venuto a pescare oggi?”. “Ma niente guarda, ormai mi occupo solo di calciomercato”, diceva lui, rivendicando la riscoperta di letture storia antica, di personaggi assurdi, di teorie anacronistiche. Di cui lui parlava, stupendoci, da appassionato. Poi tornava a scrivere di economia, trovando dei tagli originali e inaspettati su notizie che, tendenzialmente, potevano passare inosservate. Non riesco a credere a quello che è successo. Quando vedrò la tua postazione, allora sarò senza parole.
Eleonora Bianchini
Avevo già incrociato Mauro nella mia esperienza al Sole24Ore, per poi ritrovarlo al Fatto Quotidiano quando, cinque anni fa, è approdato in redazione. Mauro aveva lo sguardo aperto, limpido, esattamente come era il suo modo di scrivere. Gentile, schivo e riservato non dimostrava i suoi 53 anni. Mancherà il suo sorriso così come il suo sguardo pulito sul mondo. Che la terra ti sia lieve e dovrà esserlo per forza perché un addio così improvviso e inaspettato ci ha lasciato tutti profondamente sgomenti
Monica Belgeri
Mauro era luce. Un grandissimo giornalista, un esperto rigoroso di economia, un idealista profondo, una persona splendida. La quintessenza della libertà silenziosa che fa rumore.
Era il mio adorato vicino di scrivania, il mio riferimento indiscutibile nei dialoghi reali, su X, su WhatsApp. Era la mia bussola, anche nei momenti leggeri e negli scambi scherzosi
Aveva una forza quieta, quasi erculea, nella dedizione alla causa palestinese. Non mancava mai, con la sua kefiah e la sua bandiera, alle manifestazioni pro Gaza a Milano: ogni santa settimana.
Scriveva, analizzava, spiegava con rigore, ma anche con un cuore traboccante di sensibilità e spessore, sempre dalla parte di chi aveva meno voce.
Era un giornalista pieno, integro, autorevole, di quelli capaci di andare ovunque con intelligenza, passione e una lucidità che non si spegneva mai.
Non si prendeva sul serio. E proprio per questo era serissimo nel suo lavoro, negli ideali, nelle parole.
Da stanotte Mauro ha deciso di andarsene e il dolore che ha lasciato non è solo lutto: è la consapevolezza nuda, devastante e cruda di cosa si è perso davvero. Un faro inestinguibile, che ha segnato in me uno spartiacque imprescindibile e una rotta incontrovertibile.
Mauro adorato, l’ultima volta che ti ho visto, prima che tu partissi per le ferie, ti ho detto che una nostra comune conoscenza – praticamente una celebrità di Radio24, dove hai lavorato per anni – mi aveva confidato che fossi un grandissimo professionista. Hai reagito sminuendo, come facevi sempre, fingendo un cinismo che non avevi. Poi ti ho cazziato in barese, a modo mio: “Meh, chè t’ piasc”.
E tu hai spalancato il tuo sorrisone largo, disarmante, pieno di verità.
Questa è la fotografia di te che resta qui, per sempre.
Ciao Mauro.
Free Palestine always and forever.
“Come back. And scream as you want. And break all the vases. Steal all the flowers. Come back. Just come back.”
(Khaled Juma, poeta palestinese)
Gisella Ruccia
La tua pila di libri. La kefiah. I tuoi tweet graffianti. Il tuo perenne normalizzare le notizie che ci ricordava che il mondo tanto non lo salviamo, al massimo proviamo a raccontarlo bene. I tuoi 30 minuti fissi di pausa: qualcuno vuole qualcosa al supermercato? El pueblo unido a ogni chiamata ricevuta, perché sapevi da che parte stare. Un urlo, una volta, per la tua amata pallanuoto, tu che eri sempre un sussurrare discreto. Ho riaperto la chat: l’ultimo messaggio è una mia risata dopo la tua ennesima battuta scorretta. Questa volta tocca a noi dirtelo, purtroppo: ciao Boss
Andrea Tundo
Tenterò di non essere retorica, lui non lo sopporterebbe. Mauro era una persona autentica, per bene e diretta, talmente diretta da essere fastidiosa a volte, pungente e sarcastica sempre. Sembrava taciturno e invece aveva tanto da dire perché ne sapeva e perché era profondamente interessato alle cose del mondo. Soprattutto quello dei più deboli. Mi mancheranno – tra le altre cose – i suoi sguardi sornioni (chissà quante bottiglie vuote hai lasciato da riportare in negozio vicino alla mia postazione!), i consigli su Torino e la sua ironia disincantata, l’unico rimedio possibile di fronte a questa profonda, tremenda tristezza.
Paola Maola
È davvero difficile crederci. Ciao Mauro, ci mancherai tanto. Mi mancheranno tanto le nostre discussioni sui massimi sistemi e sulle piccole passioni che sorprendentemente ci univano. Mi mancherà la tua voce pacata che distillava sempre qualche punto di vista competente e originale. Ah, ho ancora da leggere un po’ di cose che mi hai consigliato. Lo farò.
Mario Portanova
Nelle ultime settimane le cronache dalla Striscia ti facevano così incazzare che – ex pallanuotista prestato alle vasche in piscina e appassionato di surf, del tutto disinteressato alla serie A – in pausa pranzo preferivi leggere le novità dal calciomercato. Poi tornavi alla scrivania e una nuova foto, una nuova testimonianza sul genocidio ti riaccendevano la rabbia. Per chi fa la nostra vita l’assuefazione alla strage quotidiana, alla quotidiana conta dei morti, è un rischio dietro l’angolo. Tu, che le altre notizie dell’ultim’ora tendevi a sminuirle con un “vabbè”, a quello non avevi la minima intenzione di abituarti. L’avevi scritto, parlando d’altro, nel tuo ultimo libro, non a caso un Piccolo manuale per grandi rivoluzioni: “Il futuro appare per tutti sempre più precario, incerto. Se non si parla più di lotta e di conflitto, lotta e conflitto spariscono. Ma lotta e conflitto ci sono, bisogna schierarsi, far credere che non ci siano servi a chi domina. Il vero e ultimo presidio a tutela di diritti e tempi di vita siamo noi. Tutto quello che appartiene alle persone che lavorano è stato conquistato con impegno, determinazione, sacrifici e solidarietà. Mai alcuna gentile concessione”. El pueblo unido…, come ci ricordava ogni giorno la suoneria del tuo cellulare. Buona onda. (Nella foto sotto, il gatto di Mauro che lo assiste nello studio della grammatica greca)

Eri profondo nel senso più vero del termine. Uno sguardo sul mondo preciso e implacabile, un pensiero complesso e magmatico – chi ti stava intorno, se era fortunato, lo afferrava appena – e un sistema di valori solidissimo, quasi spirituale. Tutto accompagnato da una leggerezza unica, disincantata, goliardica, cinica: quella che faceva il “personaggio” Mauro, adorabile e spigoloso, cameratesco e respingente allo stesso tempo. Avevi i tuoi spigoli, come tutte le intelligenze sopra la media, e non facevi nulla per nasconderli. Ma lasciavi il segno in chiunque ti incontrasse: era impossibile avere a che fare con te e non notarti, in un modo o nell’altro. Per me eri un esempio di come si dovrebbe stare al mondo: a metà tra il fango e le stelle, credendo profondamente, senza mai prendersi troppo sul serio. Ti voglio bene.
Paolo Frosina
Ci sono cose che non vorresti mai scrivere. Questo saluto è una di quelle cose. Condividevamo la scrivania che, nel nostro caso, non voleva dire solo salutarsi al mattino ma imparare a conoscersi giorno dopo giorno. Così so che quando scrivevi un pezzo ascoltavi musica, alta, e che per ogni pezzo scritto leggevi tantissimo. So che non ti interessavi solo di economia ed esteri, ma che volevi conoscere anche tutti gli ultimi gossip (“ma Chiara Ferragni che fine ha fatto?”) e che, come me, hai sperato fino all’ultimo che Ciro Ricci (chi segue Mare Fuori sa) fosse ancora vivo. Mi hai regalato pause pranzo di risate e commenti (qui irripetibili) che mi strappavano sorrisi anche durante le lunghissime riunioni. La nostra scrivania ora sarà più vuota, non mi porterai più il pranzo in pausa, non commenterai più le scarpe che porto e non commenteremo più le ultime canzoni di Anna Pepe. Oggi è un giorno triste, ma sono sicura che tu saresti riuscito a farmi ridere lo stesso.
Martina Milone
Mauro, la verità è che oggi mi sono crollate addosso tutte le domande che non ti ho fatto, tutti i discorsi su gas, petrolio e carbone rimasti in sospeso. E quindi ho capito di aver perso molto. Pensavo ci sarebbe stato più tempo per parlare, confrontarsi. Non è andata così e, allora, non vorrei ricommettere l’errore e qualcosa vorrei dirtela. Grazie per le segnalazioni anche sulla stampa estera, se ti accorgevi che me le ero perse, l’ultima il giorno prima che andassi in ferie. Grazie per i tuoi pezzi chiarificatori. Leggendoti, prima ancora di partecipare alle riunioni, potevo avere conferma alle mie idee, rafforzarne altre e, più di tutto, prendere nota per approfondimenti. Grazie per lo zucchero di canna che custodivi in un barattolo sul desk. Mi hai sempre salvato così dal caffè amaro. Amaro come questo giorno. Mauro, io quella roba l’ho inserita nel pezzo come ti avevo detto. Per tutto il resto, ci dobbiamo aggiornare.
Luisiana Gaita
Io e Mauro non ci siamo mai presi. Strade diverse, linguaggi opposti, forse incompatibili: il suo era fatto di numeri, rigore, metodo; il mio tende al caos, all’intuito, alla deroga. Ci siamo incrociati per la prima volta in quel piccolo lunapark per giornalisti che era SonoLeVenti, il programma di Peter Gomez. Le turbolezioni di montaggio, come diavolo si regola questo microfono? “Mauro, ti prego, passami gli appunti”. Alzava un sopracciglio, come si fa con un bambino incorreggibile. Devo averli ancora da qualche parte: precisi, essenziali e funzionali come il manuale d’uso di una caldaia tedesca.
Poi Mauro l’ho perso di vista. L’ho ritrovato al Fatto.it. A lungo abbiano lavorato fianco a fianco ma ognuno con il suo passo, come due colleghi su binari paralleli che si salutano in stazione. Del suo privato so pochissimo ma so che dal 2012 ha scritto oltre duemila articoli. Il primo era su un rapporto della World Bank che — per una volta — raccontava la diminuzione della povertà nel mondo. Non una riga di retorica, neanche una carezza alla speranza. Solo fatti. Solo numeri.
Negli ultimi pezzi era ancora così. Titoli asciutti, chirurgici. “È presto per festeggiare: la proposta del 15% è dell’Ue, manca l’ok di Trump”. “Compriamo sempre più gas dagli Stati Uniti”. “Un Patriot costa fino a 4 milioni, un lanciatore 10: la lista della spesa Ue per armare l’Ucraina”.
Tra quali venti lavorava Mauro? Quelli che passano sopra le teste di quelli come me, che setacciano i bassifondi della politica con le mani nel fanghiglia di problemi e peccati fin troppo terreni. Lui guardava più in alto. Poteva sollevare un dito e leggere le correnti come un meteorologo dell’economia: osservare, misurare, capire. Io che inciampo tra le miserie umane sentirò la mancanza di chi sapeva farlo al posto mio. Ciao Mauro, ci rivedremo. Se hai un manuale dei tuoi, tiramelo giù.
Thomas Mackinson
Ho visto Mauro per l’ultima volta pochi giorni fa, appena prima di partire per le vacanze. Avevo annunciato a lui e agli altri colleghi che io e mia moglie aspettiamo una bambina. E la sua faccia, quel giorno, mi ha colpito più delle altre. Fra occhi confusi e sorpresi, lui sfoggiava un sorriso gigantesco, raro, che non mi aspettavo, sotto agli occhiali spessi e una chioma di riccioli che sembrava non volersi rassegnare al passare del tempo. Mi ha sorpreso perché raramente parlavamo di paternità, io e lui, anche se più di una volta abbiamo riso delle sue recensioni di concerti trap vissuti insieme al figlio Alessandro. Parlavamo tantissimo, invece, di molti argomenti che ci univano, durante le nostre pause pranzo: la causa palestinese, il rigetto per la deriva del capitalismo (anzi, per il capitalismo), l’ingiustizia sociale. Lui con una forza e un’avversione al compromesso da fare invidia al 20enne più barricadero. Gliela invidiavo parecchio quella fermezza. Tutto con un sarcasmo milanese diventato ormai merce rara. Ci scontravamo anche tanto, ma con reciproca stima. Mi mancheranno queste discussioni. E mancherà la suoneria del suo telefono (El Pueblo Unido Jamás Será Vencido) che rompeva il silenzio della redazione, strappava un sorriso, ma in qualche modo ci risvegliava da un torpore al quale è sempre più difficile opporsi.
Ciao compagno Mauro, ovunque tu sia continua a incazzarti per le ingiustizie del mondo. E se fa troppo schifo non lesinare un bel “ma andate a cagare”.
Gianni Rosini
La kefiah rossa sulle spalle, gli occhiali da sole, le dita a forma di V alzate nel cielo, il suono di “Unadikum” che rimbomba dalle casse, il sorriso sornione nel vedere migliaia di persone in piazza ripensando a quando in piazza si era in dieci. Dalla parte giusta della storia. Sempre e per sempre. Grazie Mauro.
Simone Bauducco
Allora Mauro, come sai bene, tu riesci a farmi molto arrabbiare. A cominciare dalla tua suoneria “El pueblo unido” che parte ogni giorno circa dodicimila volte e che non abbassi mai. Poi provochi sempre: ti ho detto che certe cose non si possono dire e vuoi sapere perché. Mauro Del Corno vuole sempre capire e fa un sacco di domande. Una marea. Mi hai da poco annunciato che stai leggendo Paul B.Preciado e hai giurato che non è pinkwashing. Ti ho sgridato perché hai iniziato troppo tardi. Sei così testardo e appassionato che ci esasperi. A marzo scorso mi hai trascinato a parlare durante la cogestione del tuo vecchio liceo: per due ore hai raccontato a un’aula piena di ragazzi e ragazze che questo mestiere è bellissimo, ma devono essere dei rompiscatole perché chi comanda ci vuole silenti e ignoranti. È seguita analisi economico-politica del sistema mediatico attuale. Hai parlato come se fossi di fronte a dei colleghi, senza semplificare o banalizzare. A me è salito il panico che fuggissero, invece non si è mosso nessuno. Tu sei così: tratti tutti da pari, da tutti vuoi capire qualcosa. E ci costringi ad ascoltare, metterci in discussione e arrabbiarci. Perché la rabbia, diresti tu, è comunque una reazione. Pochi giorni fa ti ho detto che una delle studentesse ha scritto per ringraziare. Hai detto: “Davvero? Quindi è servito a qualcosa”. Hai fatto un sorriso enorme che non dimenticherò.
Martina Castigliani
Ogni tanto, durante le giornate di lavoro, sento borbottare alle mie spalle. Se sono parole pronunciate a voce alta – e che spesso contengono l’imprecazione “porcoddue” – sicuramente si tratta dell’ultima porcata commessa a Gaza. Un tono più basso, invece, è quello utilizzato per commenti – per così dire – più goliardici. Ogni tanto si sente anche questa frase: “Ti ho messo una cosina nel comparto”. Vuol dire che ha pubblicato un pezzo. Da cinque anni, alla scrivania posizionata alle mie spalle, lavora Mauro Del Corno. Un collega diverso da tutti gli altri, a cominciare da me. Ha qualche anno in più rispetto alla nostra media, si ricorda molto bene degli anni ’80 (e benissimo dei ’90), parla e vive a un ritmo molto diverso da quello seguito forsennatamente da molti di noi, convinti – chissà perché – che bisogna fare sempre tutto in fretta. E subito.
Mauro Del Corno, invece, si prende il suo tempo. Anche quando gli chiedi le cose: prima di rispondere fa passare tra i cinque e i dieci secondi, ma può arrivare anche a trenta. A volte può sembrare che ti prenda per il culo. Non escludo che sia così. Di idee solide e inscalfibili, originali e appassionate, scrive un sacco di pezzi molto interessanti su questioni che altrove trovate molto difficilmente (per esempio questo qui). Sulla sua scrivania tiene una ordinata pila di libri che comincia con L’infinito di Leopardi: chi conoscete che in ufficio ha L’infinito di Leopardi? Mauro Del Corno è anche l’ultima persona che conosco ad avere ancora la suoneria attiva nel cellulare: niente vibrazione o robe silenziose, se il telefono squilla lo deve sentire tutta la stanza. Per di più ha una suoneria che fa El Pueblo unido, jamas serà vencido: a proposito di idee inscalfibili e appassionate.
Ultimamente, durante la pausa pranzo, ha cominciato a leggere sui giornali le notizie di calciomercato: pare sia per non incazzarsi con le porcate di Gaza anche mentre sta mangiando. Un paio di volte, da dietro le spalle, ho sentito chiedere come fosse “questo Pio Esposito” oppure “questo Lookman”: anche se non lo ha mai dichiarato, è un tifoso dell’Inter. Una delle cose che non ci accomuna. I caratteri forti – o anche i caratteracci – sono destinati a scontrarsi ogni tanto. Avendo entrambi qualche spigolo di troppo, una volta ci siamo anche mandati affanculo durante una riunione, che per fortuna era online. Abbiamo chiarito il giorno dopo. Amante genuino della Sicilia, ogni tanto parliamo di Favignana, di Palermo, del Cretto di Burri e di altre cose molto belle da vedere. È stato il primo a comunicarmi che gli sceicchi avevano acquistato il Palermo Calcio. Negli ultimi tempi, ho notato che i borbottii alle mie spalle sono spesso conditi da “porcoddue” perché le porcate commesse a Gaza, purtroppo, sono diventate quotidiane. “Sull’argomento specifico, purtroppo, non riesco a essere leggero”, mi ha scritto qualche tempo fa. A Mauro Del Corno va riconosciuto il merito di essersi accorto di quelle porcate molto prima di tutti noi, ma probabilmente anche di tutti voi. E di non essersi mai abituato a questo orrore, nonostante l’assuefazione alle infamità del mondo sia tra i rischi del mestiere. A questo proposito soltanto adesso mi sto rendendo conto che in effetti ho scritto questo pezzo usando il tempo presente. Nonostante siano passate delle ore proprio non riesco ad abituarmi all’idea che alle mie spalle nessuno borbotterà più. Onestamente, trovo sia una cosa profondamente ingiusta oltre che incomprensibile.
Giuseppe Pipitone
Ciao Mauro, sono ancora senza parole. Ma voglio riuscire almeno a ringraziarti, per la stima e l’affetto che mi hai dimostrato fin dal primo giorno. È come se fossi riuscito a comprendere fin da subito la mia indole. Non eri mai supponente o serioso, doti rare. Ultimamente mi chiedevi informazioni sul calciomercato, perché dicevi che le notizie di economia le sapevi già tutte e quelle di esteri ti facevano solo incazzare. Mi porterò dentro questa e tante altre cose. Insegnamenti che mi sono arrivati senza che tu volessi fare il maestro. Un grande abbraccio, boss.
Daniele Fiori
Ciao compagno Del Corno, amico e giornalista ancora capace di indignarsi per le ingiustizie di questo nostro misero mondo.
Giulia Zaccariello
Da ultimo arrivato nella famiglia del Fatto, ho perso del tempo prima di avvicinarmi. Questione di ritmo, di velocità. Quelle pause prima di una risposta quasi mi destabilizzavano. Poi però è stato diverso. Quella suoneria degli Inti-Illimani spezzava le frenetiche giornate di redazione, mi faceva sorridere e sperare: beh allora gli ideali non sono definitivamente morti. Poi sono arrivati i discorsi sui massimi sistemi, sulle ingiustizie nel mondo, le battute ironiche e i consigli sui piccoli gesti che possono cambiare il mondo (o almeno si spera). A volte – lo ammetto – mi autocensuravo senza citare il nome del supermercato dove stavo andando a comprare qualcosa, per evitare una lunga filippica sul sostegno ai coloni. Poi, un giorno, ti ho raggiunto al corteo per Gaza, dove tu eri presenza fissa. Ti ho dato una pacca sulla spalla e mi hai risposto con un mega sorriso: “Allora sei venuto davvero!”. Oggi è arrivata quella notizia che nessuno di noi voleva sentire. Entrare in redazione e vedere quella scrivania affollata di libri è stato un colpo al cuore. Ciao Mauro, mancherai. E, ovunque sei, continua a fare la rivoluzione.
Salvatore Frequente
Mauro Del Corno era un uomo sensibile, dolce, intelligente. L’ho conosciuto negli anni trascorsi al Sole 24 Ore, mi chiamava soprattutto per le interviste a Radio24 e, sebbene a distanza tra Roma e Milano, siamo diventati amici, un rapporto che abbiamo coltivato anche dopo che è passato al Fatto Quotidiano. Mi ricordo il giorno che mi ha annunciato che avrebbe lasciato Radio24 per andare al Fatto, avrebbe avuto finalmente un contratto da giornalista, che il Sole non gli riconosceva. Mi sono stupito che, date le sue qualità, non fosse già giornalista e non avessero cercato di trattenerlo. Era rammaricato per l’addio, ma felice per il nuovo percorso. Era un ottimo giornalista, puntuale, garbato, colto e umile, mosso da tanta curiosità e ideali genuini di raccontare ingiustizie e disuguaglianze. Caro Mauro, non riusciremo a bere insieme un’altra birretta, come abbiamo fatto qualche volta quando venivi a Roma con la compagna Valeria e il figlio Alessandro, che abbraccio forte.
Gianni Dragoni
Voglio credere che avesse ragione quello scrittore a pensare che “è ridicolo dire che è impossibile trovare un altro posto dove potremmo essere altrettanto felici”. E sono sicura, voglio crederlo, che un altro posto già lo hai trovato, caro Mauro. Per le anime gentili come te c’è di certo, deve esserci.
Maddalena Oliva
Ciao Mauro. Ricordo bene l’ultima volta che ci siamo salutati. Lo abbiamo fatto con un “a presto”, perché dovevamo incontrarci nuovamente. La notizia di questa mattina mi lascia incredulo. Porterò con me il ricordo di un giornalista riflessivo, pacato che prendeva il giusto tempo per esprimere le proprie idee, spesso in modo pungente. Era facile notare la passione che mettevi nel tuo lavoro ed il tuo contributo nel comitato di redazione è sempre stato utile e prezioso per tutti. Ciao Mauro, è stato bello lavorare con te, mi mancherai.
Davide Muraro
Molti aspetti del tuo carattere li ho scoperti leggendo qui le parole dei colleghi con cui hai condiviso molti più anni di lavoro e scrivania. Di te però ho notato e apprezzato fin da subito il rispetto (grado, ruolo, età o chicchessia, avevi l’abilità di non far sentire anche l’ultima ruota del carro fuori posto), un certo piglio ironico, e la tranquillità di godersi ogni momento, anche un pranzo passato in silenzio a farsi compagnia tra conoscenti. Una cosa posso dirla però: ti conoscevo ancora prima di conoscerti. In una delle nostre chiacchierate sul balcone – tra commenti sul tempo e la probabilità di prendere la pioggia in bici e discorsi filosofici sul senso delle pause durante la giornata – ti avevo confessato con non poca vergogna visto la tua abilità nel settore che in passato avevo lavorato in una testata di finanza: “Lo sai che ho scritto un libro sulla finanza? Anzi due” mi hai risposto e sei subito andato a prenderli dalla tua scrivania per darmeli. Il fatto che avessi delle copie disponibili in ufficio mi aveva fatto sorridere, ma poco dopo anche tu avevi sorriso quando una volta tornato, vedendo una delle copertine, ti ho confessato che un libro (questo qui) lo avevo già, e lo avevo anche letto! Sapevo il tuo nome ancora prima di presentarmi, perché il tuo lavoro aveva già parlato per te. E, anche dopo questi giorni dolorosi, continuerà a farlo. Ciao Mauro, un abbraccio.
Chiara Ugolini
In redazione sono entrato da poco, pochissimo. Troppo per comprendere a pieno la profondità di una persona pacata e silenziosa. Ma le postazioni l’una di fronte all’altra per un mese mi hanno aiutato a studiarti e conoscerti un minimo silenziosamente, Mauro. Voce bassa già dal “buongiorno” appena arrivato. Posso confessarti che a volte sorridevo alle tue affermazioni solo perché non avevo sentito e non volevo chiederti di ripetere per la terza volta. Nei momenti di relax in redazione ti stiracchiavi, allungavi le gambe e a volte arrivavi a toccare per sbaglio la mia. “Scusami”. Da lì partivano discorsi sul calciomercato. Brevi eh. Leggevi i quotidiani e mi chiedevi: “Ma quindi? Lo prendiamo questo dell’Atalanta?”, “Ma questo centrocampista brasiliano? Arriva?”. Una volta ti hanno chiesto come mai avevi cominciato a seguire la Serie A e il mercato: “Ma sinceramente non me ne frega comunque nulla. Ma tutte le altre robe mi hanno rotto le palle, almeno questa è divertente”. Uno degli ultimi giorni abbiamo parlato di pallanuoto. “Ma l’Italia è qualificata?”, ti ho chiesto. “Non ancora, ma giocano contro il Sudafrica all’ultima. Finirà tipo 60-1”. È finita 28-4. “Evidentemente siamo delle pippe anche noi”, mi hai detto il giorno dopo. Ho riso, hai sorriso. Hai bevuto un sorso d’acqua nella tua bottiglia di vetro, preso il tuo sacchetto e sei andato via. Un abbraccio, Mauro. Dall’ultimo arrivato.
Domenico Cannizzaro
Ogni volta che ti avvicinavi te lo chiedevo: ‘Oggi finalmente ti liberi di tutte queste bottiglie di vetro accumulate?’ ‘No, le smaltisco un po’ alla volta’. Così la scatola dei vuoti a perdere, di fianco alla mia postazione, continuava a ingrossarsi. E mentre fingevo di prendermela ne approfittavo per farti qualche domanda di economia, di cui non capisco nulla, o per sapere come procedeva lo studio del greco antico, che ci ha visto entrambi tornare – alunni entusiasti – sui libri del liceo per recuperare un po’ di cultura umanistica. Lunedì torno dalle ferie e in questi giorni mi chiedevo quante bottiglie di vetro avrei trovato accumulate; ora mi spiacerà non vederne più.
Gabriele Gelmini
Mauro sapeva mescolare la sua grande cultura e la passione per le idee con un velo di raffinata ironia che lo rendeva unico. Passare del tempo con te, caro amico, è stato sempre bello e stimolante. Ti abbraccio forte ovunque tu sia ora
Vito Lops – Il Sole 24 Ore
Ciao Mauro, da quando passasti al Fatto ci siamo incontrati ancora solo una volta. Al monumento ai Martiri di piazzale Loreto, tra le bandiere della Palestina che garrivano in un cielo inaspettatamente azzurro per Milano. Uno sguardo, un cenno del capo per riconoscerci e salutarci. Eri uguale, i capelli, la kefiah, il viso corrucciato. Tu qui? Noi qui. Altri martiri chiamano giustizia. Il minimo è esserci.
Come nella canzone te ne sei scappato via a Samarcanda. Mancherai anche nei tuoi silenzi.
Valeria, Alessandro, poco altro posso per voi ora, se non abbracciarvi forte.
Laura Bettini – Radio24
Ci siamo conosciuti nel dicembre 2019, quando mancava poco più di un mese al debutto in tv di Sono Le Venti. Tu profondo conoscitore di mercati e finanza, io giornalista under 30 con tanta voglia di imparare. Dopo quell’esperienza, breve ma intensissima, abbiamo proseguito per un tratto sulla stessa strada, nella grande famiglia del Fatto.it. Uno di fronte all’altro alla scrivania. Ricordo, come altri colleghi, le cuffie che mettevi ogni volta per scrivere un pezzo. I punti di vista mai banali sui fatti del mondo. L’integrità morale e le convinzioni politiche. L’ironia sottile e quell’aria un po’ cazzona di chi riesce a parlare di capitale e di gossip nella stessa frase. Ma ricordo soprattutto le nostre discussioni di filosofia e quei messaggi che abbiamo continuato a scambiarci anche quando le nostre strade professionali si sono separate. Sapere che non ci sei più, e che quella scrivania oggi è vuota, lascia sgomenti. Ciao Mauro. Se mai ci rivedremo, mi farò trovare pronto per quella lezione su Heidegger che ti avevo promesso.
Marco Procopio – Tgr Piemonte
Ci hai fatto sembrare i mercati e la finanza una cosa divertente! Ai tavoli giganti della redazione di Sono Le Venti io e altri colleghi ti guardavamo con quel rispetto che si ha quando senti parlare chiaramente qualcuno che ne sa – molto – più di te. E ci mette pure una buona dose d’ironia. E poi un sacco di battute e di brindisi. Quel monitoraggio a distanza dei destini professionali e umani di molti di noi…questo dice la nostra chat che sono andata a rivedere appena mi è arrivata questa terribile notizia. Ciao Mauro…Un grande abbraccio alla tua famiglia
Francesca Martelli – Agorà, Rai3
La prima volta che ti ho visto ero spiazzata: competente e serissimo, ma scanzonato, ben più giovane di quel che poteva sembrare al telefono, per la tua voce strana, inconfondibile, un po’ gracchiante. Avevi in testa un libro, il tuo primo, l’abbiamo fatto insieme. L’ultima volta che ti ho visto, a luglio, abbiamo parlato dell’invecchiare, di come si inizia a sentire nel corpo. Ti guardavo scettica. Tu, eternamente moro. Abbiamo riso dei guai, delle varie figliolanze, dei saccenti online, ti ho preso in giro per l’Etica di Spinoza, poi preso sul serio su Spinoza, ricordato i tatuaggi e il greco antico, fatto progetti per settembre. Parlato di viaggi. Sicilia, Grecia, quello sì era chiaro: nel sole e nel mare avresti voluto passare tra molti anni la tua vecchiaia. Che scherzo è allora questo? Fermarsi a Samarcanda? Fermarsi ora? Lasciarci qui? L’ultima volta che ti ho visto eri uguale a sempre, cazzone e serissimo, attento e svagato insieme, premuroso a tuo modo, protettivo. Dopo il pranzo mi hai accompagnato un tratto e per non so quale istinto ti ho abbracciato. Tu e la kefiah. Olimpicamente incazzato, ironico, con quella tua saggezza da kouros greco che ha appena fatto a pugni con qualcuno, ma ne è uscito portentosamente illeso. E senza neppure un capello bianco. Sembra una storia di Erodoto, Mauro, Moro:
ci hai davvero lasciati senza invecchiare. Ti abbraccio.
Luna Orlando – Editor