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Se il calcio delude e il tennis con Sinner è vincente, cos’altro può succedere all’Italia?

Questo ragazzo rossiccio, non senza tratti fragili o cadute, ma determinato, ha capovolto una realtà. Ora tocca a tutti noi, iniziando ad immaginare un’Italia al contrario. Calciatori compresi
Se il calcio delude e il tennis con Sinner è vincente, cos’altro può succedere all’Italia?
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Il mondo è al contrario ed è una sensazione incoraggiante.

Partirei da qui. La nazionale di calcio è inesistente e succede proprio mentre un italiano vince Wimbledon. Un italiano sul tetto del mondo dell’unico sport in cui mi ero detta sin da bambina che quella no, non era roba per noi. Ho esultato per la vittoria di Wimbledon come mai era successo prima. Nessuno suona l’inno di Mameli né prima, né dopo la gara. E non c’era nessun Pertini sugli spalti. Però se accanto al suo nome c’è scritto “ita” e la voce al microfono annuncia il vincitore “from Italy, Jannik Sinner”, è complicato non sentirsi anche solo un po’ chiamati in causa. E così tutto si è trasformato. Avevo 7 anni quando la nazionale vinse i mondiali più belli di sempre. Panatta vinse il Roland Garros che avevo appena un anno e poi il nulla.

Sono quindi cresciuta con due certezze: che l’Italia fosse forte nel calcio e scarsa nel tennis. Due pilastri di questa complicata identità nazionale che si sono andati via via confermando tra mondiali e slam. Proprio adesso, però, proprio ora che inesorabile mi avvio verso un’età in cui la mente si irrigidisce su quel che già sa e pensa del mondo, quello decide di cambiare, di capovolgersi.

E ora mi viene da chiedermi: se il calcio non è più il calcio, e il tennis non è più il tennis, non sarà mica che l’Italia non è più l’Italia? Mi viene quasi voglia di pensare che un Paese ad una sola velocità, col Sud che non sta più dietro, ma cammina all’unisono, sia possibile. Un welfare che porti linfa vitale nei quartieri degradati, dove molte famiglie vivono allo stato brado, possa davvero accadere. E la mente va ancora oltre, osa accarezzando l’immagine di un Paese senza mafie, nate al Sud, grazie a una disperata disparità sociale (mi si perdoni la semplificazione), e ora sparse in ogni angolo dello stivale, a tratti usate da settori deviati dello Stato. Ma mi spingo ancora più in là, immaginando un Paese in cui la massoneria allenta la morsa sull’Università, per dirne una. Ma anche cose più semplici, meno ambiziose, tipo i turisti che arrivano e trovano tutto in ordine, perché la corruzione che occupa ogni motore del Paese ha lasciato posto alla meritocrazia che è diventato l’unico criterio di selezione dei dirigenti, perciò tutti sono al posto giusto e tutto è al posto giusto.

Ma immaginiamo ancora, osiamo oltre, ché l’immaginazione limiti non ne ha e allora proviamo a vedere, non so, magari un’Italia non più rimpianta dall’estero, dove sono andati a finire tutti i nostri giovani, ché al netto di Sinner, a Londra, “from Italy” ci sono soprattutto un sacco di camerieri. E invece no: un Paese dove chi ci cresce può anche decidere di restarci senza dovere rinunciare non già ai sogni, ma alla propria dignità professionale. Dove non ti ritrovi sempre scavalcata da qualcuno che appartiene a quel gruppo di potere o a quell’altro, che garantisce lo status quo, in un rigido protezionismo sociale che asfissia ogni settore. Ma una democrazia vivace e audace, che può consentire cambi di gioco e improvvise scalate anche a chi non appartiene a nessuno, semplicemente perché è bravo e in grado di svolgere quel ruolo che poi serve a tutti.

Un Paese che non custodisce segreti per 30-40 anni, ma che fa i conti con le proprie verità e con le proprie responsabilità. Una nazione dove conta più di ogni cosa la trasparenza. Una collettività vissuta ogni giorno con amore e rispetto verso gli altri, al punto che la doppia fila viene cancellata dal vocabolario civico e la tangente ha la sola accezione di infrastruttura stradale. Un’Italia non spaventata e provincialotta ma aperta, accogliente e multietnica. Anzi, no, pardon, multietnica lo è già, perché se si guarda bene alcune parti di questo inventario del mondo al contrario ci sono già, come ci sono già tanti italiani dal profondo senso civico. Se si guarda bene. E se si guarda col pensiero rinvigorito da questa nuova realtà dove quel che non si credeva neanche probabile è invece successo, chissà cosa può capitare.

Perché questo ragazzo rossiccio, non senza tratti fragili o cadute, ma determinato, questo giovincello che pare uscito da una puntata di Heidi, ha capovolto una realtà. Con lui lo ha fatto anche tutta la scuola italiana di tennis, dove ci sono Paolini, Sonego, Berrettini, Musetti, Cobolli e altri ne verranno. Perché mentre nessuno stava guardare, qualcuno nel tennis lavorava sodo e portava l’Italia sul tetto del mondo. Un gruppo di italiani, Sinner in cima, l’ha fatto. Ora tocca a tutti noi, iniziando ad immaginare un’Italia al contrario. Calciatori compresi.

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