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La Ue archivia l’ipotesi di una tassa digitale per non scontentare Trump. Lui? Risponde con maxi dazi

La digital tax scompare dalle bozze della Commissione, che mercoledì svelerà la sua proposta per il bilancio pluriennale 2028-2034. Serviranno più risorse proprie per Pnrr e difesa, ma Bruxelles non vuole scontentare Washington. Che intanto annuncia tariffe del 30%
La Ue archivia l’ipotesi di una tassa digitale per non scontentare Trump. Lui? Risponde con maxi dazi
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Una tassa comunitaria sui colossi del digitale? Troppo rischiosa, dev’essere stata la valutazione dei vertici europei, mentre si tratta con gli Stati Uniti per sventare i maxi dazi ventilati da Donald Trump. Così la Commissione Ue, che mercoledì 16 luglio svelerà la sua proposta per il bilancio pluriennale 2028-2034, ha eliminato dalle ultime bozze la digital tax, prelievo mirato a colpire i big della rete come Google, Meta e Amazon. Al suo posto, Bruxelles immagina ora una tassa più “neutrale”: un’imposta sulle grandi imprese, basata sul fatturato, che colpirebbe tutti i gruppi con ricavi annui superiori a 50 milioni di euro, indipendentemente dal settore e dal Paese d’origine. Ma l’inversione a U è valsa a poco: il presidente Usa ha appena inviato alla Ue una lettera in cui annuncia pesanti tariffe del 30% su tutti i prodotti europei esportati negli Usa.

Un passo indietro. L’avvio del dibattito sul Quadro finanziario pluriennale 2028-2034 vede la Ue assetata di risorse, perché il prossimo settennato coinciderà con l’esplosione degli interessi sui titoli emessi per finanziare il Recovery fund e servono soldi anche per difesa comune e ricostruzione dell’Ucraina. Secondo stime preliminari, il fabbisogno aggiuntivo supererà i 30 miliardi di euro all’anno. Per questo sono necessarie nuove “risorse proprie” che affianchino i tradizionali contributi nazionali. I documenti circolati nei mesi scorsi ipotizzavano appunto una tassa sul digitale, una sui visti per turisti finora esenti, una sugar&salt tax sui cibi lavorati, un prelievo sui pacchi extra-Ue e una decisa stretta sul tabacco. Ora, stando a una bozza vista da Politico, la prima voce è scomparsa del tutto. Decisione chiaramente legata al timore di scatenare le ire della Casa Bianca, che considera le web tax un’estorsione a danno delle imprese statunitensi e in particolare della Silicon Valley. Un’altra vittoria per Trump, dunque, che a fine giugno ha già ottenuto dagli altri leader del G7 l’esenzione delle multinazionali Usa dalla global minimum tax del 15%.

Bruxelles è scesa a più miti consigli optando per una soluzione più difficile da contestare: un’imposta trasversale su tutte le grandi aziende, senza distinguere tra settori o nazionalità. Secondo il Financial Times la misura – battezzata “corporate resource for Europe” – sarebbe una tassa progressiva sul fatturato netto delle imprese più grandi operanti nel mercato unico. Il meccanismo prevederebbe diverse soglie di imposizione, in base alla dimensione dell’azienda, in modo da evitare impatti sproporzionati sulle imprese di medie dimensioni. Resta da vedere se il piano rimarrà immutato ora che Washington, nel pieno dei negoziati per sventare una guerra commerciale, ha annunciato unilateralmente la decisione di colpire duramente l’export europeo.

In ogni caso, l’effettiva entrata in vigore del balzello non sembrava probabile: come ha ricordato il quotidiano britannico, quando propone il bilancio settennale dell’Ue la Commissione suggerisce regolarmente nuove imposte a livello europeo ma perché passino serve l’approvazione unanime di tutti gli Stati membri. Motivo per cui il fallimento è dietro l’angolo: vedi l’esempio della tassa sulle transazioni finanziarie proposta fin dal 2011.

Rimarrebbero invece in campo l’ipotesi di una severa riforma delle accise sul tabacco e le sigarette elettroniche, di una tassa sui rifiuti elettronici non riciclati e di un contributo sui pacchi con prodotti comprati online da aziende extra Ue, destinato soprattutto a colpire le importazioni low-cost provenienti dalla Cina.

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