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L’accusa di Greenpeace: “La spesa militare ci rende meno sicuri e non aiuta la crescita economica”

Secondo l'associazione, l'Europa dovrebbe concentrarsi su transizione ecologica e la riduzione delle disuguaglianze. E invece si smantellano welfare e green deal per produrre armamenti e far arricchire le lobby
L’accusa di Greenpeace: “La spesa militare ci rende meno sicuri e non aiuta la crescita economica”
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La spesa militare è un cattivo affare per l’economia italiana. Al tempo stesso, aumentare le armi non ci rende più sicuri, anzi più aumentano le armi più aumentano i rischi di guerra. A lanciare questa pesante accusa al riarmo europeo è Greenpeace Italia, da tempo impegnata contro il riarmo e a favore di soluzioni non belliche. “L’aumento della spesa per la Difesa al 5% del Pil è una risposta sbagliata alle crisi internazionali, perché tutti gli indici che misurano il tasso di conflittualità nel mondo ci dicono che negli anni di forte crescita della spesa militare il livello di pace globale si è drasticamente deteriorato. Il riarmo trascina il mondo in una spirale di guerra fuori controllo”, spiega Sofia Basso, Research Campaigner Pace e Disarmo di Greenpeace Italia.

Ma il punto che l’organizzazione ambientalista vuole mettere in luce è anche un altro, ovvero che l’Europa ha già una schiacciante superiorità sia di spesa militare che di capacità militari su Putin. “L’Europa già spende tre volte tanto la Russia. Infatti, i membri europei della Nato, secondo i dati SIPRI, nel 2024 hanno speso 454 miliardi di dollari contro i 150 miliardi della Russia. Perché voler aumentare, allora?”, si chiede l’esperta.

Nel 2014 i paesi Nato che avevano raggiunto il 2% erano solo tre, l’anno scorso invece erano 22 su 32 membri. La Nato adesso vuole che si arrivi al 5%, “ma non c’è mai stata un’analisi articolata sul perché arrivare al 2 prima e al 5 dopo. Gli unici studi che vengono fatti quasi ogni anno dal Parlamento europeo ci dicono che la spesa militare europea è fortemente frammentata e caratterizzata da grandi sprechi, ma questi aspetti non si affrontano, ci si limita a dire ‘aumentate’”, spiega sempre Basso.

Se il motivo del riarmo non è chiaro, chiarissimi sono invece i benefici di questo aumento per le aziende militari, che vedono da anni una forte crescita dei profitti. “Nel 2022, rispetto al 2021, le prime dieci aziende esportatrici di armi hanno incrementato i loro utili netti del 68%, mentre nel 2023 del 45%. I dati del 2024 li stiamo ancora analizzando, ma è evidente un ulteriore forte aumento dei profitti. Grazie all’escalation bellica il settore solo tra il 2022 e il 2023 ha accumulato 830 milioni di maggiori profitti, con un aumento che va ben oltre il funzionamento ordinario del mercato”. Mentre i conflitti continuano a fare stragi di civili e le diseguaglianze aumentano in tutto il mondo, crescono in maniera esponenziale gli extraprofitti di queste aziende, che Greenpeace chiede infatti di tassare.

Un altro luogo comune spesso ripetuto è che la spesa militare aiuti la crescita economica italiana. Sofia Basso spiega che questo non è vero: “Abbiamo pubblicato uno studio intitolato “Arming Europe” che ha confermato che la spesa in armi porta meno crescita economica e occupazionale, rispetto alla spesa in sanità, scuole e protezione ambientale. Intanto perché l’Italia importa il 60% delle sue armi dagli Usa, quindi non tutti i soldi hanno un ritorno nel nostro Paese: su un euro speso in armi si mettono in moto solo 74 centesimi, mentre un euro speso nella protezione ambientale diventa quasi il doppio. Un miliardo di euro speso in armi genera solo 3.000 nuovi posti di lavoro, nel settore istruzione sarebbero almeno 14.000”. Ciò che è vero, invece, è che concentrare le risorse pubbliche sulle risorse militari toglie i fondi a priorità sociali e ambientali. Si tratta di soldi tolti letteralmente a sanità, welfare e transizione energetica.

All’Italia viene spesso anche contestato come la spesa sociale sia sbilanciata sul personale, “in effetti fino a pochi anni fa era molto alta, oggi però la quota percentuale si è ridotta mentre crescono gli acquisti in armi, tanto che il target previsto del 20% è stato superato: oggi la spesa per le armi è al 23% della spesa totale per la difesa, dieci anni fa era al 10%”.

La cruda verità, in conclusione, è che la sicurezza europea sarebbe meglio garantita da accordi diplomatici, iniziative di prevenzione, disarmo, risoluzione del conflitto, così che i soldi vengano impegnati nelle vere sfide che abbiamo davanti, come la transizione ecologica e la riduzione delle disuguaglianze. Tra l’altro, l’Italia è il Paese in cui tutti sondaggi riportano una avversione alla spesa militare, a differenza di altri paesi. “Dire ai cittadini che tanto l’1,5% sarà speso in sicurezza e infrastrutture non cambia molto, primo perché i soldi non ci sono, secondo perché con vari trucchetti vogliono inserire opere inutili come il ponte sullo Stretto”, afferma Basso. “Ma l’Europa non ci sente, Rutte dice che non siamo in guerra ma neanche in pace, la verità è che si preparano alla guerra invece di prevenirla. Per spendere meno basterebbe fare una vera difesa comune europea e mettere in sinergia quello che c’è. Si ridurrebbe anche quella frammentazione a cui il Parlamento europeo ci chiede ogni anno, inascoltato, di mettere mano”.

Al tempo stesso, tutto questo sembra l’occasione per deviare i finanziamenti comunitari e nazionali dal sostegno alle emergenze sociali e ambientali: scuola, lavoro e ambiente sono ormai le cenerentole della finanza pubblica.

“L’ondata di calore di questi giorni ci ricorda che il tempo per intervenire sulla transizione energetica e la difesa dell’ambiente non è molto” aggiunge Alessandro Giannì, Responsabile delle Relazioni Istituzionali e Scientifiche di Greenpeace Italia. “È paradossale che mentre si susseguono allarmi per siccità, incendi e alluvioni, l’Europa stia smantellando il Green Deal: la nostra sola arma di legittima difesa dal caos climatico. È evidente che si vuol passare dal Green Deal al War Deal, ma che questo sia davvero nell’interesse dei cittadini europei è assolutamente falso”.

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