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Delitto di Garlasco, i legali della famiglia Poggi: “Impronta 33 non è di Andrea Sempio, chiediamo incidente probatorio”

Gli avvocati Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna: "La procura di Pavia ha rigettato la richiesta" nonostante l'impronta fosse stata presentata come un elemento a sostegno della pista alternativa
Delitto di Garlasco, i legali della famiglia Poggi: “Impronta 33 non è di Andrea Sempio, chiediamo incidente probatorio”
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Era il 21 maggio scorso quando una nota della procura di Pavia, a firma del capo dei pm Fabio Napoleone, specificò che l’impronta 33 – trovata sulla parete destra della scala che portava alla taverna di casa Poggi – era stata “rianalizzata con nuove tecniche rispetto al 2007” ed era attribuibile ad Andrea Sempio, indagato nella nuova inchiesta sull’omicidio di Chiara Poggi. Una traccia – che nel 2007 fu ritenuta “non utile” dal Ris dei carabinieri – e che né allora, né recentemente aveva dato esito positivo come traccia ematica ovvero sangue. Perché quella traccia poteva essere importante per gli inquirenti nella ricostruzione della pista alternativa? Perché il corpo della 26enne fu trovato su quelle quelle scale dopo essere stato lanciato dalla soglia. Le sentenze che hanno condannato Alberto Stasi a 16 anni come l’autore del delitto di Garlasco avevano cristallizzato una ricostruzione che ha stabilito che il killer aveva trascinato il corpo della vittima e lo aveva lanciato. Nell’ipotesi dei pm di Pavia quella impronta sarebbe stata lasciata proprio senza scendere gli scalini.

La consulenza della parte civile – La famiglia Poggi – che da sempre ha partecipato a tutti gli atti istruttori nella convinzione che a uccidere la figlia sia stato Alberto Stasi ma volendo che fosse fugato ogni dubbio – ha fatto svolgere a propri consulenti un approfondimento sulla famosa traccia palmare 33 e le analisi dei consulenti hanno stabilito la “estraneità dell’impronta alla dinamica omicidiaria” e la non “attribuibilità della stessa ad Andrea Sempio”. Un’attribuzione già dubbia secondo quelli che sono i criteri stabiliti dalla Cassazione ovvero la necessità di almeno 16 minuzie perché ci sia attribuzione.

Gli avvocati Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, alla luce di questi risultati, hanno chiesto ai pm di “sollecitare” un incidente probatorio proprio su questa impronta. Istanza che, però, è stata “rigettata” dai pm. I legali ricordano come la notizia di un’impronta fosse data con ampia eco dal TG1 “mediante immagini quantomai suggestive” perché si intravedeva un rossore che poi si è compreso fosse relativo al reagente chimico – ninidrina – usato dagli investigatori per rilevare le impronte e che restituisce un colore rosso-violaceo.

La nota degli avvocati – La famiglia Poggi – in questi giorni costretta più volte a rilasciare dichiarazioni e interviste per arginare uno tsunami di falsità – ha provveduto a richiedere ai propri consulenti “un apposito approfondimento tecnico, previa acquisizione della consulenza dattiloscopica del pubblico ministero. Poiché le conclusioni formulate depongono per la sicura estraneità dell’impronta alla dinamica omicidiaria, oltre che per la non attribuibilità della stessa ad Andrea Sempio, abbiamo pertanto ritenuto di sollecitare, quali legali delle persone offese, un definitivo accertamento sul punto, da compiersi con incidente probatorio, ponendo immediatamente a disposizione della Procura il contributo tecnico-scientifico fornito dai nostri consulenti. Con l’occasione, a fronte delle sorprendenti ipotesi che erano state avanzate su alcuni media in merito alla possibile presenza di sangue sull’impronta in questione (come tale già esclusa dall’apposito test effettuato dal RIS di Parma), ci era parso opportuno evidenziare l’esigenza di fare definitiva chiarezza anche su questo aspetto, valutando in contraddittorio l’asserita esperibilità – ad avviso di uno dei consulenti di Alberto Stasi – di ulteriori accertamenti”.

Il no della procura – I legali però spiegano che da parte della procura è arrivato un no. “Tale istanza, volta esclusivamente a garantire un imparziale accertamento dei fatti nell’interesse di tutti i soggetti coinvolti nell’attuale vicenda processuale, è stata tuttavia rigettata dal Pubblico Ministero – prosegue la nota – il quale ha ritenuto di dover sottoporre i dati tecnici in esame ad una sua diretta ed esclusiva valutazione, da compiersi all’esito delle indagini in occasione dell’eventuale esercizio dell’azione penale nei confronti dell’attuale indagato. Prendiamo doverosamente atto di tale determinazione, ma ci saremmo sinceramente augurati che un dato probatorio rappresentato ai media come decisivo per l’accertamento dei fatti potesse essere subito chiarito proprio nell’ambito dell’attuale incidente probatorio, per il quale è stata fissata udienza al 24 ottobre 2025″.

Storia dell’impronta 33 – L’impronta 33 – che non è mai stata di sangue – è attribuita a Sempio dai pm, ma non era entrata nell’incidente probatorio che invece la giudice per le indagini preliminari di Pavia, Daniela Garlaschelli, su richiesta della procura ha incentrato su test genetici, al momento tutti negativi rispetto all’ipotesi della procura per assenza di Dna di Sempio sia sull’altra impronta la n° 10, sia sui residui della spazzatura su cui è stato rilevato il Dna della vittima e dell’allora fidanzato.

Ebbene l’impronta risultava già parziale perché mancavano le “creste”. E già all’epoca del delitto la parte superiore ed era stata sottoposta a un doppio test per rilevare la presenza di sangue: il primo aveva dato esito incerto (combur test) quello più specifico (Obti test che rileva sangue umano) aveva restituito un “esito negativo”. L’impronta del palmo della mano era stata rilevata sul muro delle scale che portano in taverna, vicino al luogo dove era stata trovata massacrata Chiara Poggi. Poco più c’erano anche un’impronta del fratello – che era in montagna da giorni – e anche di uno degli investigatori.

La mano dell’assassino – L’impronta quindi compariva fin dalla prima inchiesta del delitto di Garlasco del 2007 ed era stata catalogata dagli esperti – incaricati dai magistrati che hanno indagato nella villetta – come traccia dattiloscopica. Era stata “stata asportata dal muro – diceva il reparto scientifico dei carabinieri – grattando l’intonaco con un bisturi sterile”. Reperto che poi è stato cercato, ma non trovato. Nella relazione dei carabinieri del Ris di Parma dell’epoca c’erano un riassunto preciso, impronta per impronta, di tutte le tracce catalogate lungo il muro della scala di via Pascoli, oltre venti (foto da 31 a 56). Quattro erano attribuibili al carabiniere Gennaro Cassese, una al fratello della vittima Marco Poggi e la traccia 33 – che era apparsa centrale in questa nuova inchiesta – era un’impronta palmare la cui utilità era stata bollata come “nessuna” dal Ris. La nuova consulenza della procura di Pavia è stata fatta sulla base delle foto. Sull’impronta 33 non c’è stato ma sangue, ma l’assassino di Chiara Poggi aveva almeno una mano sporca di sangue perché sul pigiama parte destra di Chiara Poggi erano state fotografate delle impronte, impronte andate perdute (fotografate ma non rilevate, ndr) – come scoprì la pg Laura Barbaini nel processo d’appello bis – quando il corpo fu rigirato e la maglietta si intrise di sangue.

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