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Ultimo aggiornamento: 8:01 del 5 Giugno

“Altro che 10 anni, ne aspettiamo anche 20 o 30. Rinunciamo a carriere e ambizioni”: le voci degli italiani senza cittadinanza

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Vite precarie e dimezzate, sogni rubati e negati, carriere e ambizioni infrante. Questo è costato per migliaia di ragazze e ragazzi, figlie e figli di immigrati, giovani di seconda generazione, non avere ancora la cittadinanza italiana. C’è chi non l’ha ancora ottenuta per problemi burocratici, nonostante sia arrivata in Italia quando aveva appena dieci anni, come Kejsi Hoda, 26enne che fa parte dell’associazione “Dalla parte giusta della Storia”. Lo stesso limbo nel quale è finita Fioralba Duma, segretaria del movimento “Italiani senza cittadinanza“, nata a Scutari in Albania, a Roma dal 2001, dove è cresciuta e si è formata. Tanti hanno completato interi cicli scolastici e si sono anche laureati, ma ancora attendono. Come Remon Karam, nato in Egitto e appartenente alla comunità cristiana copta, vittima di violenze e intimidazioni, costretto a 14 anni ad abbandonare tutto, genitori compresi, per inseguire un futuro e la libertà. Ma in tanti e tante, come Deepika Salhan, co-presidente del comitato per il Referendum Cittadinanza, con le loro esperienze e le loro lotte, da anni sono portavoce di una mobilitazione che ora può portare a una svolta con il voto sui quesiti su lavoro e cittadinanza del prossimo 8 e 9 giugno.
Sono soltanto alcune delle storie di tanti italiane e italiani di fatto, ma senza diritti, che il nostro Paese fa ancora finta di non vedere. Abbandonati e umiliati da una politica che – anche a sinistra – , negli anni non ha avuto il coraggio per andare avanti in Parlamento. Così se in Aula i partiti non sono intervenuti su una delle leggi più restrittive d’Europa e la riforma dello Ius scholae giace dimenticata nei cassetti di Montecitorio e Palazzo Madama, tra la propaganda e la contrarietà delle destre oggi maggioranza e al governo, una scossa potrebbe arrivare grazie alla spinta di tanti movimenti dal basso e alle oltre 600mila firme raccolte per arrivare alla consultazione popolare.
La sfida del quorum (50% più uno degli aventi diritto) è a dir poco complessa, ma la parola va agli elettori, che, insieme agli altri quesiti su lavoro e Jobs act, potranno esprimersi sull’abolizione di parte dell’articolo 9, legge 91 del 1992. L’obiettivo è dimezzare da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale necessario per diventare cittadini italiani. Attualmente servono 10 anni per chi ha la nazionalità di Paesi extra Ue, quattro per i Paesi Ue e cinque per chi è apolide. L’ottenimento continuerebbe a essere subordinato ad alcuni criteri: la conoscenza della lingua italiana, dimostrare di avere avuto “redditi sufficienti al sostentamento” per almeno tre anni, assenza di precedenti penali e non “essere in possesso di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica”. Se dovesse passare l’abrogazione, a beneficiarne potrebbero essere anche i figli minorenni di chi ottiene la cittadinanza: se conviventi con i genitori, acquisirebbero automaticamente la cittadinanza. E a esserne interessati, poi, potrebbero essere tutti i titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo.
Numeri alla mano, potrebbero essere un milione e 420mila i cittadini non comunitari potenziali beneficiari della riforma della cittadinanza al quale punta il referendum, pari a oltre 1 ogni 4 stranieri regolarmente residenti in Italia, secondo le stime del Centro studi e ricerche Idos. Tra questi, un milione e 136 mila sarebbero gli adulti, tutti titolari di un permesso di soggiorno di lunga durata, mentre i minori sarebbero 284 mila (229 mila soggiornanti di lunga durata e 55 mila che diventerebbero italiani per automatica trasmissione della cittadinanza da parte dei genitori naturalizzati). Certo, rispetto alla platea potenziale le esclusioni non mancherebbero, tra il nodo legato al fatto che non tutti i Paesi extra-Ue consentono di avere la doppia cittadinanza o la difficoltà di raggiungere il requisito di reddito richiesto. E non solo. Ma, sono convinti tanti giovani, “è il primo passo. E il primo è sempre il più complicato“. Fioralba di Italiani senza cittadinanza ricorda: “Siamo consapevoli che è una singola modifica, non è la riforma completa della cittadinanza per la quale lottiamo, quello resta il nostro obiettivo. Basta pensare a come la questione del reddito stia escludendo spesso non chi non riesce a mantenersi, ma semplicemente chi è giovane, studente, attivista. E anche chi è donna. Eppure, basta ascoltare le nostre storie per capire che sarebbe un cambiamento inimmaginabile”.
“Se verrà raggiunto il quorum, dal 10 giugno lavoreremo per una riforma della cittadinanza. Se non verrà raggiunto, faremo lo stesso”, rivendica Kejsi Hodo. Una delle tante giovani che aspetta ancora, alla quale l’Italia, dove si è formata, ha negato il sogno della carriera diplomatica: “Questo Paese mi ha formato, anche con delle borse di studio. Ma io non ho potuto ridare indietro quello che avrei voluto. Oggi non posso ancora partecipare al concorso, senza la cittadinanza. Per lungaggini burocratiche ho potuto fare richiesta soltanto quest’anno, ne mancano ancora tre o quattro. Alla soglia dei trent’anni sarà impossibile realizzare il mio sogno”. Lo stesso al quale ha dovuto rinunciare Remon Karam, arrivato in Italia su un barcone a Portopalo, in Sicilia, dove trovò rifugio in un centro di accoglienza per poi essere accolto da una famiglia siciliana che gli offrì una seconda possibilità. Si è laureato due volte, ma ripensa a quello che ha lasciato, compresi i genitori: “Sono italiano di cuore, cultura, abitudini. Non permetterò a nessuno di dire che non lo sono”.
Altro che dieci anni di attesa, per le persone extraeuropee se va bene sono 14, 15 anni. A volte 20, a volte 30. Perché non deve esserci alcuna interruzione, neanche di sei mesi, nella residenza anagrafica. Senza contare le lungaggini del procedimento amministrativo. Tutto mentre le persone continuano a contribuire dal punto di vista delle tasse, del sistema sanitario, educativo e sociale come tutte le altre persone di questo Paese. Non si può aspettare così tanto per essere riconosciuti”.
Kejsi, Remon, Fioralba, Deepika però non mollano, come tante e tanti altri: “Con il referendum possiamo finalmente cambiare una legge classista, anacronistica e discriminatoria“. E se Giorgia Meloni punta all’astensionismo e a sabotare la partecipazione al voto(avendo dichiarato Vado a votare, ma non ritiro le schede, contribuendo al non raggiungimento del quorum), dai comitati la attaccano: “Parole inaccettabili in un Paese democratico, senza il voto non sarebbe al suo posto”. Fa riflettere invece che in una consultazione che toccherà le loro vite e i loro diritti, in tanti non potranno votare: “Sogno di poter avere quella tessera elettorale, ma purtroppo non ce l’ho. Il mio appello è rivolto a voi che avete il diritto alla cittadinanza e al voto: avete il privilegio di poter scegliere quale Italia costruire per il futuro: inclusiva, plurale. Andate a votare anche per noi“.
L’ultimo pensiero di Duma, invece, è per Omar Neffati, portavoce di Italiani senza cittadinanza scomparso due anni fa, che al Fattoquotidiano.it raccontò la sua battaglia per i diritti di tutte e tutti nel giugno 2022, poco prima che il ddl sullo Ius Scholae venisse nuovamente affossato e dimenticato dalla Camera. Così come era successo già cinque anni prima, quando vide svanire, dalle tribune di Palazzo Madama, la speranza di vedere approvata la riforma dello Ius soli temperato, provvedimento prima approvato a Montecitorio nel 2015, poi dimenticato dai governi Renzi e Gentiloni, sacrificato sull’altare della governabilità e del timore di perdere consensi elettorali. “Se come associazione ci siamo imbarcati in questa avvenuta della raccolta firme e del referendum è anche per Omar. È stato lui la nostra spinta, la nostra molla ad andare avanti. Aveva ragione Omar a dire che se i politici non ci ascoltano e non ci guardano in faccia, al contrario gli italiani già lo fanno. Nelle scuole, tra i vicini, nei nostri quartieri, ovunque abbiamo degli alleati. Dobbiamo soltanto chiedere a loro”.

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