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Contro l’Inter il capolavoro di Luis Enrique, hombre vertical implacabile e visionario

Il carattere spigoloso, la tappa difficile di Roma, il dolore disumano per la figlia: ritratto del tecnico del Paris Saint Germain, alla sua seconda tripletta da tecnico 10 anni dopo
Contro l’Inter il capolavoro di Luis Enrique, hombre vertical implacabile e visionario
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In queste ore, a caldo, anzi “a caldissimo” dopo il trionfo del Psg sull’Inter, un 5-0 entrato nel libro dei record come lo scarto maggiore tra due squadre in una finale di Coppa dei Campioni/Champions, lo spessore umano di Luis Enrique, detto Lucho, sovrasta il giudizio sull’allenatore. E’ inevitabile, di fronte a un uomo che ha vissuto il dolore più lacerante che possa provare un padre come la perdita di un figlio. La scomparsa della piccola Xana, nel 2019, è una sofferenza che accompagnerà Lucho per il resto della vita. A Monaco di Baviera l’allenatore asturiano ha commosso il mondo raccontando che Xana è sempre con la sua famiglia e i suoi amici, nelle gioie e, soprattutto, nei momenti tristi. La maglietta indossata dopo la chiusura del match, nella quale era riprodotta l’immagine della bambina nel gesto di piantare la bandiera sul prato, non è stata solo una promessa mantenuta: ha mostrato una straordinaria forza morale.

L’hombre vertical. Così Luis Enrique fu ribattezzato a Roma nella stagione 2011-2012, la prima dell’era americana del club dopo il passaggio dalla famiglia Sensi al consorzio rappresentato da Thomas Di Benedetto all’inizio e poi, dal 2012, da James Pallotta. Lucho non fu però opera di questi americani informatissimi sul baseball e sul basket, ma digiuni di calcio. Fu Franco Baldini a puntare sull’asturiano che in Italia avevamo conosciuto con l’immagine del viso sporco di sangue dopo la gomitata ricevuta da Tassotti nella sfida della nazionale di Arrigo Sacchi contro la Spagna, al mondiale Usa 1994. Baldini, che nel 1999 aveva portato a Roma Fabio Capello, il tecnico del terzo scudetto giallorosso ed era rientrato a Trigoria dopo l’addio del 2005, scelse Lucho per varie ragioni, tra le quali, inutile nasconderlo, la suggestione di aver individuato un altro tecnico sublime dopo l’exploit di Guardiola. Pep e Lucho avevano, e hanno, il marchio di fabbrica di quella straordinaria fabbrica di calcio e di allenatori creata a Barcellona da Johann Cruijff.

L’esperienza romana è stata una tappa formativa essenziale per Lucho. Il risultato sportivo fu negativo, ma fortificò l’uomo, costringendolo a misurarsi con critiche talvolta feroci e a mettersi in discussione. Quando salutò Roma, disse: “Spero che chi verrà dopo di me non sia trattato come è capitato al sottoscritto”. Il tecnico asturiano pagò non solo i suoi errori e l’approccio con una realtà profondamente diversa da quella spagnola, ma anche il conto del risentimento delle “vedove dei Sensi“. Un malessere che accompagna ancora oggi la Roma, figurarsi allora. Nella tormenta, Lucho riuscì però a imporre lo spessore umano. La verticalità dell’uomo onesto che non scende a patti e compromessi.

Il Psg è il capolavoro dell’hombre vertical. Dieci anni dopo il Triplete del 2015 alla guida del Barcellona, Lucho ha calato nuovamente il tris Champions/campionato/coppa nazionale alla guida di un club che, dal 2011, è posseduto dal fondo sovrano qatarino ed è diretto da Nasser al-Khelaifi. In questi 14 anni, il Psg ha speso svariati miliardi di euro per diventare una potenza del calcio. La Champions era un chiodo fisso. Un traguardo che sembrava irraggiungibile, dopo averlo sfiorato nel 2020, nella finale persa contro il Bayern Monaco. Cinque anni dopo, il Psg è riuscito a farcela all’Allianz Arena, lo stadio del club bavarese – tanto per ribadire la carica simbolica del calcio –, con una squadra plasmata in profondità da Lucho. La formazione titolare più giovane di sempre in una finale di Champions del terzo millennio: 25 anni e 96 giorni la media. L’undici di partenza dell’Inter, per dire, aveva 30 anni e 242 giorni.

Lucho si è liberato delle star e dei loro ego smisurati. L’ultimo ad andarsene è stato Mbappé. Chiusa l’era dei Galacticos parigini, il Psg ha trascorso un’annata non facile. A dicembre era quasi fuori dalla Champions, ma il 4-2 sul Manchester City dell’ex Guardiola, il 22 gennaio 2025, ha rappresentato la svolta. Da quel trionfo, una cavalcata che ha portato il Psg a eliminare tre squadre inglesi (Liverpool, Aston Villa e Arsenal) e a rifilare all’Inter una batosta storica. L’obra maestra di Lucho, come scrive Marca, giornale vicino al madridismo del Real, è stata quella di imporre il suo calcio, le sue idee e di entrare nella testa di giovanissimi talenti già sedotti dallo star system. Desire Doué, doppietta ai nerazzurri e premio come migliore in campo, è il nuovo simbolo del Psg, ma anche la corsa all’indietro dell’ex napoletano Kvaratskhelia, la straordinaria evoluzione di Dembélé, le geometrie di Vitinha e la corsa di Neves esprimono in profondità il calcio di Lucho. I parigini pressavano l’Inter anche sul 5-0: impressionante, e scusate il gioco di parole.

L’hombre vertical ha fatto tesoro delle esperienze del passato, ma non ha mai derogato dai suoi principi. L’hombre vertical ha la memoria lunga: anche sul prato dell’Allianz Arena, nel corso di un’intervista con alcuni inviati spagnoli, ha dimostrato di non dimenticare chi lo aveva ferito con critiche andate oltre i confini della normale dialettica. Lucho è anche questo: gli spigoli fanno parte della natura del personaggio. Onesto al mille per cento, e per questo credibile e rispettato dai giocatori. Trascinatore e visionario. Implacabile, sebbene piegato da un dolore disumano. Questo trionfo del Psg è il suo capolavoro professionale. Chapeau.

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