Tre migranti morti e 35 riportati in Libia. La ong: “Ecco i fatti, ora si indaghi sull’ordine di respingimento”
Persone disperse in mare e 35 naufraghi riportati forzatamente in Libia mentre il governo di Tripoli è al centro degli scontri armati tra milizie. Tanto che in Italia le opposizioni pretendono luce sull’accaduto e la ong Sos Mediterranee chiede sia avviata un’indagine approfondita. Perché le ricostruzioni di quanto successo nel Mediterraneo centrale tra il 24 e il 26 maggio evidenziano inerzia se non addirittura negligenza da parte degli attori coinvolti, autorità italiane comprese. “Imperativo accertare le responsabilità per i ritardi e la cattiva gestione dell’operazione di salvataggio”, dichiara la direttrice generale per l’Italia della ong, Valeria Taurino. E domanda: “Chi ha ordinato a quel mercantile di sbarcare le persone in Libia?”.
Tutto a inizio la mattina di sabato 24 maggio, quando la rete di soccorso civile Alarm Phone lancia un’allerta per due barconi partiti da Sabrata, a ovest di Tripoli. Il primo sarà soccorso a 42 miglia sud di Lampedusa dalla vedetta CP322 della Guardia costiera italiana. A sbarcare sull’isola sono 98 uomini, 21 donne e 9 minori provenienti da Eritrea, Etiopia, Sudan, Siria, Egitto. Per il secondo barcone, con a bordo 117 migranti, sarà un’odissea. A divulgare su X la dinamica degli eventi è il corrispondente senior di Radio Radicale per il Mediterraneo, Sergio Scandura, che da subito monitora la posizione satellitare delle imbarcazioni coinvolte. Le difficoltà iniziando già al mattino di sabato, quando il secondo barcone è a 10 miglia della piattaforma petrolifera offshore Al Jurf. Nonostante la vicinanza, i rimorchiatori in servizio nell’area non intervengono. “La barca è rimasta per oltre quattro giorni in mare in condizioni meteorologiche sempre peggiori mentre, nonostante le molteplici comunicazioni alle autorità marittime libiche, italiane e maltesi, i centri di coordinamento abdicavano alle loro responsabilità di coordinare i soccorsi”, scriverà poi Sos Mediterranee. La nave mercantile MV Bobic battente bandiera del Belize, infatti, che risponderà all’allarme nella serata di sabato, muovendosi in direzione del barcone e restando poi in attesa di ricevere istruzioni per molte ore.
Come non bastasse, il mare si ingrossa confermando le previsioni meteo note a tutti i centri di coordinamento. A maggior ragione: perché quell’inerzia? Non è la prima volta che le autorità marittime, anche italiane, attendono l’intervento delle motovedette libiche e così potrebbe essere avvenuto anche stavolta. Così l’intervento del mercantile inizia solo sabato notte, in mezzo a onde alte due metri. “Nonostante le disperate richieste di assistenza e di istruzioni al MRCC (centro di coordinamento) responsabile, il Capitano non ha avuto altra scelta se non quella di affidarsi alle organizzazioni civili (Alarm Phone e Sos Mediterranee) per rispondere ad una situazione di pericolo imminente”, scriverà l’organizzazione umanitaria. Inadatto a fornire soccorso, soprattutto senza coordinamento e in condizioni avverse, il mercantile riesce a evacuare solo 35 persone delle 117 a bordo. Durante il tentativo di soccorso, sono annegate tre persone, mentre delle altre 82 ancora a bordo si perdono le tracce. Non è finita: nonostante gli avvertimenti delle Ong sulle implicazioni legali e che preoccupano il capitano, “lo Stato di bandiera della MV Bobic ha dichiarato che “l’MRCC Roma si è coordinato con il JRCC Libia per garantire che i 35 migranti venissero rimossi dalla nave il prima possibile”, il che ha comportato, domenica 25 maggio, il ritorno forzato dei sopravvissuti in Libia, in violazione del diritto internazionale e marittimo. Sono stati trasbordati alla guardia costiera libica al largo di Zawiyah e, secondo quanto riferito, portati nella famigerata “prigione di Osama” a Zawiyah”.
In base alle informazioni registrate dall’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) sembra che, dall’inizio degli scontri armati in Tripolitania, i migranti intercettati e riportati in Libia sbarchino solo a Zawiyah, e non più alla base navale di Tripoli, nell’area costiera di Abu Sitta. “La situazione caotica nell’ovest libico potrebbe indicare una fase critica sulla piena operatività delle vedette Made in Italy, fornite da Roma ai criminali libici spacciati per Guardia Costiera”, è la riflessione di Scandura. E tuttavia l’ordine di consegnare ai libici le 35 persone soccorse è arrivato ed è stato eseguito. Chi ha dato l’ordine? Intanto, domenica mattina dopo molte ore di volo è l’aereo Sparow1 di Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, a localizzare gli altri naufraghi alla deriva, rimasti senza contatto per quasi un giorno intero. A raggiungerli, la notte di domenica, è il rimorchiatore italiano EcoOne, in servizio nell’area offshore ENI/NOC. A causa del meteo sarà un altro recupero parziale: 26 persone delle 82 rimaste. In tutto questo, dove sono le navi delle ong? La Ocean Viking di Sos Mediterranee riuscirà a soccorrere le altre 53 persone solo alle 3 del mattino di lunedì, 26 maggio. Per il precedente soccorso le era stato assegnato il porto di Ancona, a 1.500 chilometri, “tenendoci lontani molti giorni dalla zona di mare dove sono più vitali le operazioni di soccorso”, ha denunciato più volte la ong francese, e così tutte le altre, dopo l’entrata in vigore del decreto “Cutro” del governo Meloni.
Rotte definite “vessatorie” perché oltre a ridurre le possibilità di soccorso costringono i naufraghi ad altri giorni di navigazione. E’ stato così anche questa volta, nonostante i sopravvissuti siano in condizioni critiche, fisicamente e psicologicamente fragili, alcuni dopo aver assistito all’annegamento dei loro compagni. A differenza del rimorchiatore EcoOne in servizio nelle piattaforme dell’area offshore ENI/NOC Al Bouri, al quale viene indicato di sbarcare i 26 soccorsi a Lampedusa, alla Ocean Viking viene concessa l’evacuazione medica d’urgenza di 5 persone, tra cui un bambino di 8 mesi e una persona quasi annegata prima di essere salvata. Tutte le altre dovranno proseguire fino a Livorno, a 1150 chilometri, con la sola logica di tenere i soccorsi civili lontani dall’area SAR del Mediterraneo Centrale, dalla gestione italo-libica delle intercettazioni in mare e, purtroppo, anche dai possibili naufragi. Tra le persone soccorse dalla Ocean Viking ci sono 6 bambini, 19 donne e 28 minori non accompagnati. Solo l’intervento del Tribunale per i minori di Palermo, su richiesta di Sos Mediterranee, imporrà la sosta a Porto Empedocle per far sbarcare adolescenti soli e madri con bambini.
Viene invece respinta dalle autorità la richiesta dello sbarco totale. La Ocean Viking sarà costretta a raggiungere Livorno con appena 13 persone a bordo, ultimo paradosso di un weekend paradossale, segnato da ritardi e mancanza di coordinamento, se non da vero e proprio disimpegno. Con un bilancio di vite perse in mare e un respingimento illegale non diverso da quelli già censurati da sentenze italiane e sovranazionali, per di più in un momento di forte instabilità in Libia e che moltiplica i rischi per i respinti. Tanto che il Consiglio di pace e sicurezza dell’Unione Africana, condannando le recenti violenze, ha chiesto “un cessate il fuoco permanente e senza condizioni” in Libia. “Verificheremo nelle prossime ore chi ha la responsabilità di questa decisione”, ha detto il deputato democratico Matteo Orfini. Che sull’epilogo dei soccorsi con il “probabile smembrando nuclei familiari”, chiede al ministero “di consentire lo sbarco di tutti i naufraghi in un porto più vicino” e, anche in riferimento alla destinazione della nave umanitaria “di smettere con queste gratuite e inutili persecuzioni verso degli esseri umani e chi li ha messi in salvo”.