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L’Italia tace sul divieto di Orban ai Pride: l’Ungheria ci ricorda cosa non dobbiamo diventare

Anche da noi il governo vuole distogliere l’attenzione dai problemi reali: il caro bollette, la disoccupazione, gli stipendi più bassi d’Europa, la crisi energetica…
L’Italia tace sul divieto di Orban ai Pride: l’Ungheria ci ricorda cosa non dobbiamo diventare
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Che l’Italia non sia un paese benevolo per la sua componente Lgbqtia+ lo si sa per esperienza diretta, se si appartiene alla minoranza queer. Se invece si fa parte della massa eteronormata (magari pure distratta e anche un po’ omofoba) lo si può apprendere annualmente dal rapporto dell’Ilga che disegna lo stato di salute delle democrazie in relazione ai “diritti arcobaleno”.

L’Europa, a guardar la mappa, è divisa in due zone tagliate trasversalmente. La parte che si rivolge all’oceano Atlantico è tendenzialmente verde: ciò vuol dire che sono rispettati in larga misura i diritti umani di gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, ecc. In ambito mediterraneo, fino agli Urali – pur con qualche differenza e eccezione – il colore declina in arancione fino al rosso vivo. Russia e Turchia sono i paesi in cui la minoranza queer è ampiamente perseguitata. L’Italia è purtroppo lontana da paesi come Svezia, Francia e Malta nel rispetto di quei diritti. Ma è più vicina all’Ungheria di Orban e alle peggiori democrature del continente.

Questa premessa ci aiuta a comprendere perché, mentre l’Unione Europea condanna il governo di Budapest per il divieto sul Pride, il nostro Paese è uno dei pochi a non aver nulla da dire di fronte alla limitazione della democrazia. Com’è noto, infatti, “il Consiglio Affari Generali Ue che si è riunito per esaminare, tra le altre cose, la procedura dell’articolo 7 nei confronti del governo di Viktor Orbán che potrebbe portare alla sospensione di Budapest dal voto nelle riunioni dei 27 Stati membri”. Dei paesi dell’Unione, ben 17 hanno scritto una nota congiunta in cui si esprime sincera preoccupazione per quanto sta accadendo nella repubblica ungherese. Tra questi non c’è l’Italia.

La messa al bando del Pride è solo l’ultimo tassello di un mosaico a tinte cupe. Già in passato il regime di Orban ha blindato il matrimonio, definendolo come unione esclusiva tra uomo e donna (peccato che poi il responsabile di tale provvedimento, sotto pandemia, sia stato ritrovato in un sex party insieme a molti altri maschi). Quindi sono arrivate le leggi antigay, sul modello di quelle russe per cui nelle scuole è vietato anche solo poter pronunciare la parola “omosessualità”. Infine, assistiamo alla sospensione dello stato di diritto impedendo a cittadini e cittadine di poter manifestare liberamente.

L’Ungheria, che ama i fondi dell’Unione Europea ma mal tollera le garanzie democratiche che dovrebbe rispettare per farne parte, è da tempo in mano a un regime che ha deciso di riconoscere nelle persone transgender e più in generale nella comunità queer il nemico su cui convogliare l’attenzione dell’opinione pubblica. È una strategia antica: si identifica un nemico in una categoria specifica, si fa credere alla massa – eteronormata, distratta e anche un po’ omofoba – che quella categoria è l’origine di tutti i mali e si procede indisturbati a togliere libertà a tutto il resto della società.

Anche in Italia il rischio che si proceda in questa direzione è molto alto. Innanzitutto perché i partiti al governo nel nostro Paese sono ideologicamente vicini a quello di Orban: una destra, estrema e filoclericale, che costruisce narrazioni d’odio contro i diritti delle donne, contro le minoranze, contro le persone migranti. E anche in Italia stiamo vedendo le prime leggi contro la nostra comunità: a cominciare dal ddl Varchi che di fatto colpisce le coppie omogenitoriali. Per non parlare delle proposte di impedire che, come in Russia e nella stessa Ungheria, si possa parlare di omosessualità a scuola per contrastare il bullismo e l’omofobia.

Anche da noi il governo vuole distogliere l’attenzione dai problemi reali: il caro bollette, la disoccupazione, gli stipendi più bassi d’Europa, la crisi energetica… tutte emergenze che il governo Meloni non ha saputo affrontare, prima ancora che risolvere.

Per questo motivo, ora che si sta per aprire la stagione dei Pride, la nostra comunità deve essere non solo vigile, ma anche risoluta. Pretendendo che le nostre manifestazioni siano più politiche che mai, senza arretrare di un millimetro sulla richiesta di garanzie costituzionali prima ancora che sui diritti. E ricordando alla società qual è il vero nemico da combattere: una classe politica, casualmente di estrema destra, che vuole trasformare il nostro Paese in un regime autoritario e repressivo.

L’Ungheria ci ricorda cosa non dobbiamo diventare. Il Pride ci fornisce lo strumento per opporci a tale pericolo. L’Unione Europea è la casa comune in cui è fondamentale rimanere, per impedire a questa classe dirigente di portare a segno il suo disegno liberticida e antidemocratico.

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