Su Gaza i palestinesi attendono il papa, ma sarebbe anche ora che l’Ue riconoscesse lo stato di Palestina
Nell’orrore di Gaza i palestinesi attendono Leone XIV. Appena eletto, il nuovo papa ha esortato a prestare i soccorsi umanitari alla “stremata popolazione civile”. Il giorno dell’inaugurazione del pontificato ha usato parole severe: “A Gaza i bambini, le famiglie, gli anziani sopravvissuti sono ridotti alla fame”.
Non è sfuggito agli osservatori che il pontefice delle due Americhe ha inviato al contempo una lettera all’American Jewish Committee, in cui assicura di voler “rafforzare il dialogo e la cooperazione della Chiesa con il popolo ebraico nello spirito della dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II”.
Ma non è neanche sfuggito che il nuovo papa, rilanciando il dialogo interreligioso, non per questo è cieco dinanzi alla crudeltà della politica israeliana e perciò preme perché Israele imbocchi finalmente la via della pace e del rispetto dei diritti palestinesi: quello che con una formula logorata dalla vuota ripetizione – ma valida nella sostanza – si chiama l’obiettivo di “due popoli e due Stati”.
Dentro e fuori del Vaticano, al di là di ogni frontiera confessionale, chiunque in questi decenni sia stato legato alla sorte del popolo ebraico e sia appassionato della cultura, della storia, della spiritualità del popolo di Mosè è da tempo inorridito per la spietatezza con cui il governo del premier Netanyahu colpisce i due milioni e mezzo di gazawi. La Striscia è un campo di macerie. Non è una guerra, non è una campagna punitiva per l’attacco del 7 ottobre. E’ uno sterminio.
Lo scrittore David Grossman ha lucidamente evidenziato che la carneficina in atto non ha più alcun rapporto con l’attacco barbarico del 7 ottobre perpetrato da Hamas. Yair Golan, generale della riserva oltre che leader politico, ha dichiarato che uno Stato sano di mente “non uccide i bambini per hobby” e non si pone l’obiettivo di espellere una popolazione dalla propria terra. L’ultima prodezza dell’esercito israeliano è stata di uccidere nove bambini su dieci, bombardando la casa di una dottoressa gazawi mentre era impegnata all’ospedale.
Ma i titoli dei giornali – a forza di rincorrersi – non rendono giustizia alla realtà nella sua oscenità. Sessantamila morti ammonticchiati riempiono piazza San Pietro. I cadaveri degli oltre quindicimila bambini sparsi per terra trasformerebbero via della Conciliazione in un torrente di sangue e di corpi straziati. Le foto degli adolescenti per ora sopravvissuti sono inguardabili: tronchi senza braccia, figure rese esangui dalla fame. Gaza in tempi normali aveva bisogno di ottocento camion di viveri e carburante al giorno. Per due mesi e mezzo non ha ricevuto nulla. L’ingresso di dieci camion è una beffa.
Gaza attende papa Leone. L’Autorità nazionale palestinese ha annunciato di essere impegnata per ottenere un incontro con lui. Francesco aveva l’abitudine di telefonare ogni sera – anche dal letto al Gemelli – al parroco di Gaza. Francesco, raccontano, aveva il desiderio di recarsi a Gaza. Il sogno di un pontefice che arriva nella Striscia esprime il desiderio di un miracolo che cancelli l’orrore. Sarebbe la ripetizione del miracolo di Leone Magno, che riuscì a fermare Attila. Il sadismo con cui esponenti governativi di Israele hanno affermato davanti alle telecamere che a Gaza non entravano né cibo né carburante né medicinali è raccapricciante. Uno shock per le generazioni che nel secolo scorso hanno seguito l’epopea di “Exodus”, parteggiando per la nascita dello stato di Israele.
Ad un’analisi realistica appare chiaro che lo sterminio operato da Netanyahu non è solo la risposta agli atti di terrorismo del 7 ottobre, ma è la volontà di sradicare qualsiasi rivolta politico-militare contro il dominio israeliano sulle terre palestinesi. I pogrom delle squadracce di coloni contro i palestinesi e i beduini della Cisgiordania vanno nella stessa direzione. Sono pogrom che hanno già provocato oltre 700 morti. I palestinesi non devono pretendere nulla, devono andarsene e basta.
Non è solo Netanyahu ad essere colpevole di crimini di guerra e contro l’umanità. E’ errato descriverlo semplicemente come ostaggio della destra messianica e suprematista. Responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità sono anche i comandanti dell’esercito israeliano, che ordinano di sparare a prescindere. Responsabili sono i membri del governo. Responsabile è anche quella fascia – non indifferente – dell’elettorato israeliano che ha premiato sistematicamente Netanyahu perché già nel decennio scorso prometteva: “Con me non ci sarà mai uno stato palestinese!”.
In questa situazione l’associazionismo ebraico internazionale non può continuare a tacere. Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah, ha usato parole inequivocabili. A Gaza, ha detto, sono “evidenti” i crimini di guerra e contro l’umanità dalla parte israeliana e non solo da Hamas e dalla jihad. Di fronte a tale chiarezza o si sta di qua o si sta di là. Chi tace copre lo sterminio.
La via d’uscita l’hanno indicata – con altri paesi – i pontefici precedenti, riconoscendo Israele e riconoscendo la statualità della Palestina. Al governo israeliano non interessano le espressioni di condanna o le manifestazioni di piazza (né in patria né all’estero). Il governo israeliano è invece attento ai fatti. E i fatti per incidere sulla politica di Israele sono due: che l’Italia e l’Unione europea riconoscano adesso lo stato palestinese e che i paesi dell’Occidente interrompano ogni fornitura di armi. Ogni altro discorso sarebbe pura ipocrisia.