Filosofia contro crisi ambientale, la docente: “Non essere catastrofici, ma mettere l’empatia al servizio del Pianeta”
“Ritengo necessario contrastare le narrazioni apocalittiche della ‘fine dell’umanità’ e il loro rovescio, l’indifferenza. Alla definizione di Antropocene, che è diventato il nome che riassume l’impasse in cui ci troviamo, propongo di sostituire quella di nuova condizione umana che non deve essere solo fuga dal presente o, all’opposto, problem solving tecnologico, ma apertura di nuove possibilità di esperienza”. Laura Boella, filosofa morale, già professoressa ordinaria di Filosofia morale e di Etica dell’ambiente all’Università Statale di Milano e autrice del libro Per amore del Mondo. L’ecologia e la nuova condizione umana (Castelvecchi), da alcuni anni utilizza in maniera originale le categorie filosofiche per leggere la crisi ambientale, mettendo al centro soprattutto l’empatia e le pratiche empatiche, che hanno “una concretezza fatta di circostanze, di incontri di corpi, di scambio e di ascolto, che contrasta ogni tipo di generalizzazione teorica”.
Prof.ssa Boella, la filosofia si è accorta con ritardo della crisi ambientale ed ecologica?
Il ritardo a fare i conti con la crisi ambientale riguarda tutti, filosofi, economisti, teologi, politici. Fin dagli anni Ottanta del secolo scorso gli appelli ai “limiti della crescita” sono stati lanciati e sono rimasti inascoltati. Inutile tornare al passato. Guardiamo al presente: possediamo informazioni, forme di monitoraggio del degrado ambientale, modelli predittivi sofisticati, sperimentiamo anche nel (finora privilegiato) Occidente fenomeni climatici estremi che incidono direttamente sulla vita delle persone. La crisi climatica ormai s’intreccia con i sommovimenti geopolitici, le guerre, le pandemie, le migrazioni e le conseguenti crescenti disuguaglianze tra primo e terzo mondo. L’ecologia si è trasformata: oggi giustamente parliamo di ecologia integrale.
Per converso: dovremmo utilizzare più gli autori novecenteschi per trovare soluzioni alla crisi ecologica?
Nel mio libro sono partita da questa situazione complicata (lo sappiamo, ma non ci crediamo) e non penso certo che pensatori e pensatrici del Novecento che hanno vissuto traumi e catastrofi storico-politiche come il nazismo e la Shoah possano offrirci soluzioni. Ma ritengo importante il fatto che essi abbiano accettato la sfida di fenomeni senza precedenti, inediti che richiedevano un nuovo pensiero e nuove forme di azione. Hannah Arendt, in un mondo diversissimo dal nostro, ha avuto il presagio di un mutamento della condizione umana. Scrive in Vita Activa: “La difficoltà sta nel fatto che le ‘verità’ della moderna visione scientifica del mondo, benché dimostrabili in formule matematiche e messe alla prova della tecnologia, non si prestano più all’espressione”.
Perché è così difficile affrontare la crisi climatica?
Il problema consiste nel fatto che le crisi si accavallano l’una sull’altra e vengono gestire, soprattutto dai politici e dai media, in competizione l’una con l’altra. La crisi energetica scaccia quella della disoccupazione, i conflitti intrattabili come quello tra israeliani e palestinesi o tra Ucraina e Russia scacciano gli eccidi in Sudan. La crisi climatica le attraversa tutte e così aumenta la fatica psicologica e esistenziale a elaborarla.
Nel libro mi sembra non condividere una visione “apocalittica” del tempo, propria di una parte del mondo ambientalista. È così?
Si tratta di una rinuncia a immaginare un futuro possibile. In questa luce, ho posto al centro il nesso tra la nuova condizione umana e la presa d’atto dell’interconnessione di tutti i viventi, umani e più che umani. Parlare di nuova condizione umana implica una prospettiva diversa da quella che va oggi sotto il nome di Antropocene. Non solo nel dibattito ambientalista, ma anche nelle discussioni sulla crisi economica, finanziaria, geopolitica, si parla giustamente delle responsabilità di un modo di produzione capitalistico orientato voracemente al profitto, allo sfruttamento delle risorse naturali e della manodopera del Sud globale e alla diffusione di un modello di consumo che rende infelici le persone.
Impotenza, angoscia, disperazione: questi sono i sentimenti che attraversano chi realizza cosa sta accadendo al mondo. Come la filosofia dà risposte a questi sentimenti?
Il mio libro risponde al senso d’impotenza e di ansia oggi dominanti con un invito a mettersi in gioco in prima persona, coinvolgendosi con la mente e con il cuore nella relazione con una società e un Pianeta che per molti aspetti ci sfidano, ci minacciano, ci chiedono di rimodellare le nostre forme di vivere, di agire, di pensare.
Lei parla di pratiche empatiche: cosa sono?
Le pratiche empatiche rappresentano l’esito di anni di studio sull’empatia che mi hanno portata alla convinzione che l’esperienza empatica è fondamentalmente un’esperienza di relazione con il multiverso in cui viviamo (esseri umani, esseri viventi più che umani, cose, entità materiali come le montagne, gli oceani, i deserti). La relazionalità umana non è una cosa astratta, ma la mettiamo in atto, la pratichiamo negli infiniti modi e contesti della nostra esistenza. La cura, il rispetto, la solidarietà, insomma l’amore per il mondo che ho scelto come titolo del libro, nascono dal rendersi conto che non siamo soli, e sta a noi trasformare noi stessi e scoprire altre logiche altrettanto reali di quelle che stanno portandoci alla distruzione e all’infelicità. Questo è l’unico modo per non restare vittime passive di processi incontrollabili o meglio diretti da strongmen che si presumono gli unici arbitri di ciò che accade.
In conclusione, serve più realismo o ottimismo?
Dobbiamo essere realisti, non negare la realtà nei suoi aspetti drammatici, non voltarci dall’altra parte. Ma come diceva Ursula Le Guin, abbiamo bisogno del “realismo di una realtà più ampia” che ospiti il desiderio del futuro (e questo vale soprattutto per i giovani) anche se non sappiamo ancora come sarà. Viviamo una situazione di cambiamento insidioso i cui esiti sono imprevedibili. I giochi non sono fatti, checché ne dicano i profeti di sventura o i tecnoentusiasti. Faites vos jeux: questa è la massima che vale per ognuno di noi.