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Elezioni Taranto, altro che coalizioni: 8 candidati sindaco e tutti contro tutti. “La città è un laboratorio sociologico”

Spaccature e divisioni sia nel centrodestra che nel centrosinistra: caos di papabili primi cittadini. Il sociologo don Antonio Panico: "Oggi i giovani che non vanno via, vogliono darsi da fare"
Elezioni Taranto, altro che coalizioni: 8 candidati sindaco e tutti contro tutti. “La città è un laboratorio sociologico”
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Una costellazione frammentata, con la bandiera della coalizione “compatta e unita” rimasta immobile, senza il vento dell’unione a farla sventolare fiera. Ancora una volta l’approssimarsi delle elezioni rende Taranto “un caso” nel panorama politico pugliese e, più in generale, italiano. Perché nella città più complessa e fragile della Puglia, alle prese con l’ennesimo cambio epocale del suo ospite più scomodo, l’ex Ilva, le coalizioni si frantumano, i partiti non si accordano e i candidati si moltiplicano. A due mesi dalle amministrative del 25 e 26 maggio prossimi i candidati sindaco sono otto. Quantomeno per il momento. Né centrodestra, né centrosinistra hanno saputo presentarsi con le truppe compatte. Anzitutto il centrodestra, all’interno del quale sembrerebbe spirare lo stesso vento gelido di Roma.

Perché dopo numerosi tentativi di interlocuzione, l’unico accordo possibile è stato trovato tra Fratelli d’Italia e Forza Italia. I forzisti hanno rinunciato al loro candidato, il consigliere regionale Massimiliano Di Cuia, per convergere sul nome messo sul tavolo dai meloniani, Luca Lazzaro, presidente appena dimesso di Confagricoltura Puglia. “I tarantini chiedono al centrodestra idee e determinazione, ma innanzitutto unità – è stato il commento di Mauro D’Attis, segretario regionale di Forza Italia – ed è per questo che Forza Italia non ha mai abbandonato l’idea di una coalizione unita per Taranto, un fattore indispensabile, un valore che ci spinge ad affrontare con determinazione la campagna elettorale”. Il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, che di Fratelli d’Italia è anche coordinatore regionale, e il coordinatore provinciale Dario Iaia parlano di una “proposta politica coerente, omogenea ed innovativa per la città. Taranto – aggiungono – deve rispondere presente con un’amministrazione solida e una coalizione chiara, in sintonia con il governo nazionale, alle sfide che riguarderanno il futuro della Città e che oggi rappresentano un’ultima chiamata per il rilancio”. Ma la Lega no. Non ne vuole sapere di cedere. Il candidato del Carroccio è, e resta, Francesco Tacente, presidente del Consorzio trasporti pubblici di Taranto che conterà sul sostegno dell’area che fa capo all’ex sindaco Melucci – e che in realtà proviene dal fronte opposto – e da una costellazione di liste civiche. Una divisione che, si diceva, sembra lo specchio di quanto accade a Roma dove la Lega, tanto sulla mozione per opporsi al riarmo che sulla richiesta di Matteo Salvini di riappropriarsi del Viminale, trova le porte sbarrate degli alleati.

Non va meglio sul fronte opposto. Il centrosinistra ha chiuso il cerchio con un divorzio tra il Movimento 5 Stelle e la coalizione guidata dal Pd. A Taranto come in Regione Puglia, dove gli ex alleati appaiono sempre più lontani. Tanto da non escludere – come dichiarato dal senatore Mario Turco – una corsa solitaria alle prossime regionali. E così sarà, infatti, a Taranto dove la candidata pentastellata è Annagrazia Angolano che, ad oggi, incassa il sostegno di Rifondazione comunista. Il centrosinistra, invece, è confluito su Piero Bitetti, candidato della creatura civica di Michele Emiliano, Con, ottenendo un passo indietro – o laterale come si preferisce dire ultimamente – di Mattia Giorno, espressione dei dem. Che Taranto, dunque, sia un riflesso di dinamiche nazionali e regionali appare quantomeno ipotizzabile. Ma c’è chi, da osservatore in prima fila della città e dei cittadini, interpreta questo vivaio di candidati in una realtà così complessa, come un segno positivo. Perché la città dei due mari è stata profondamente condizionata dal colosso siderurgico che ne ha provocato profondissime ferite umane, ambientali, sanitarie. Ma anche sociali.

Ne è sicuro don Antonio Panico, parroco della città ma anche sociologo. “La città è divisa – spiega a ilfattoquotidiano.it – non c’è una così grande coesione perché quando sono nati questi grandi insediamenti industriali, migliaia di lavoratori sono arrivati qui da altre regioni. Questo ha portato alla mancanza di un elemento identitario comune, l’arrivo di tanti singoli non ha permesso di costruire comunità. Lo scotto di essere una città di immigrati – dice don Antonio – lo paghiamo”. Sicché la motivazione per la quale si è in tanti “a voler emergere, è perché – assicura – non c’è una grande coesione, come nelle città che hanno avuto uno sviluppo più regolare”. Ma non tutto è negativo. Per don Antonio “un elemento di resilienza c’è”. Il fatto, cioè, che tanti vogliano impegnarsi può essere sintomo della volontà di non rassegnarsi. Taranto, spiega il sociologo, “ha vissuto una prima fase di profonda rabbia verso la politica, seguita poi da una profonda rassegnazione. Oggi i giovani che non vanno via, vogliono darsi da fare. Non si rassegnano all’idea di essere sacrificati sull’altare della patria”. “Taranto – conclude don Antonio – è sociologicamente un laboratorio”.

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