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“La velocità con cui si sollevano i Campi Flegrei è aumentata da un centimetro al mese a tre. Così più terremoti sia piccoli che grandi”

L'INTERVISTA - Mauro Di Vito, ricercatore tra i più esperti del vulcano e direttore dell'Osservatorio vesuviano spiega la situazione: "La magnitudo 5 per i Campi Flegrei è un valore massimo plausibile". E sull'ipotesi eruzione: "Se il magma dovesse risalire velocemente, non si potrebbe escludere. Ma non ci sono segnali"
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Una eruzione è possibile, ma al momento non ci sono segnali di una risalita imminente del magna. Quello che conta maggiormente per gli scienziati dell’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) è che i Campi Flegrei sono in una fase di sollevamento progressivo da 20 anni e nell’ultima settimana con una velocità di 3 centimetri al mese, quasi raddoppiata quindi rispetto al passato. Ed è questo che sta generando sciami sismici che hanno portato alla forte scossa nella notte tra mercoledì e giovedì. L’area in provincia di Napoli porta già nel suo nome Flegrei, dal greco Flegraios ovvero bruciante, la sua natura, ma come ricordano gli scienziati “la famosa eruzione del Monte Nuovo risale al 1538″. Mauro Di Vito, direttore dell’Osservatorio vesuviano (Ingv) e ricercatore tra i più esperti del vulcano, ha spiegato al FattoQuotidiano.it che “quando la velocità di sollevamento aumenta, il sistema risponde producendo un numero maggiore di terremoti a tutte le scale, ovvero aumentano sia il numero dei piccoli terremoti, sia il numero di quelli più forti”. Impossibile escludere che si possa arrivare anche a magnitudo 5 (considerata potenzialmente molto pericolosa per la Protezione civile), che però in considerazione dell’area dovrebbe essere la magnitudo massima.

La notte scorsa la magnitudo è stata molto più alta degli ultimi eventi. Come si inserisce questo evento nell’evoluzione del fenomeno dell’area? Accelera o innesca un nuovo sciame di scosse più potenti?
I Campi Flegrei sono, come noto, in una fase di sollevamento a partire dal 2005. Questo sollevamento è caratterizzato da un aumento progressivo della sua velocità, presentando, tuttavia, alcune fluttuazioni. Gli ultimi rilievi effettuati mostrano, in questa settimana, una velocità di 3 cm/mese, la più alta misurata dall’inizio della crisi. Questo aumento di velocità di sollevamento comporta sforzi maggiori nelle rocce e l’occorrenza di un numero maggiore di terremoti a tutte le scale di magnitudo, sia piccoli che grandi. Il terremoto di stanotte rientra nella dinamica che mostrano i Flegrei in questa fase di aumento della velocità di deformazione.

Ora cosa potrà accadere?
Tipicamente, le sequenze dei terremoti dei Flegrei sono di tipo a “sciame”, ovvero una serie di terremoti di magnitudo simile, concentrati nell’intervallo di alcune ore. Ci si può aspettare che lo sciame prosegua per l’intera giornata, con una possibile coda di scosse per un paio di giorni. Le osservazioni degli ultimi anni indicano che, talvolta, dopo un terremoto di magnitudo maggiore, la velocità di sollevamento si riduce, con conseguente riduzione temporanea dell’occorrenza dei terremoti. Questo potrebbe accadere nel giro di un paio di settimane. Tuttavia, al momento non si possono fare previsioni. È fondamentale monitorare la velocità di sollevamento, i flussi dei gas e le temperature delle fumarole, per valutare la rapidità con cui il fenomeno evolve e stimare la probabilità di occorrenza di nuovi sciami. Se la velocità di sollevamento continuasse con questi valori, è necessario aspettarsi ancora questo tipo di sismicità. Le osservazioni e misure che effettueremo nei prossimi giorni potranno fornirci un quadro più chiaro dell’andamento.

Quanto è scientificamente vera la stima che ipotizza che nei Campi Flegrei “si avranno terremoti sempre più numerosi e di energia crescente”?
Sulla base di studi scientifici, è stata notata una relazione tra la velocità di sollevamento dei Campi Flegrei e l’occorrenza dei terremoti nell’area. Quando la velocità di sollevamento aumenta, il sistema risponde producendo un numero maggiore di terremoti a tutte le scale, ovvero aumentano sia il numero dei piccoli terremoti, sia il numero di quelli più forti. Dal 2005 i Campi Flegrei mostrano una velocità di sollevamento crescente e questo andamento si associa con un aumento della sismicità. Finché perdurerà questa, seppur lenta, accelerazione, dovremo aspettarci terremoti più numerosi ed eventi con maggiore energia. Si osserva inoltre che questo andamento non è perfettamente continuo, ma presenta periodi di maggiore o minore velocità di sollevamento, con conseguenti periodi di maggiore o minore sismicità.

Perché a volte non c’è una interpretazione univoca dei dati? (Mi riferisco alle polemiche sulla commissione grandi Rischi)
In merito alle interpretazioni del perché questo avvenga, esiste una discussione scientifica in atto con visioni diverse. In pratica, i Campi Flegrei si deformano a causa di un aumento di pressione a circa 3-4 km di profondità, molto probabilmente dovuto al riscaldamento del sistema idrotermale causato dalla risalita di fluidi magmatici dal profondo (principalmente vapore acqueo surriscaldato). Il punto in questione è se insieme al gas risalga anche il magma. Questa seconda ipotesi potrebbe modificare gli scenari futuri, non escludendo la possibilità di un’eruzione. Tuttavia, attualmente, non esistono segnali chiari e univoci che questo avvenga. Questo, ovviamente, innesca i dibattiti scientifici.


Nelle scorse settimane è stato pubblicato da Nature Geoscience uno studio, che
porta anche la sua firma, sulle emissioni di zolfo e la relazione con l’escalation dello stato di agitazione della caldera. Può spiegarci cosa significa?
Il testo descrive lo studio delle caldere vulcaniche, in particolare quella dei Campi Flegrei in Italia, e il loro comportamento durante le fasi di crisi vulcanica. Queste fasi sono caratterizzate da un aumento della sismicità, della deformazione del suolo e delle emissioni di gas, segnalando un possibile risveglio del vulcano. Tuttavia, l’interpretazione di questi segnali è complessa, poiché pochi episodi di attività hanno effettivamente portato a un’eruzione e la comprensione dei meccanismi di riattivazione delle caldere è ancora frammentaria. Lo studio evidenzia che dal 2018 ai Campi Flegrei si è registrato un aumento senza precedenti dell’emissione di zolfo (soprattutto gli isotopi più leggeri) dalle fumarole. Attraverso analisi chimiche e simulazioni numeriche, i ricercatori suggeriscono che questo fenomeno sia causato dal degassamento di un magma situato ad almeno 6 km di profondità, accompagnato da un rilascio di zolfo proveniente da minerali idrotermali.
Questi risultati contribuiscono a migliorare il quadro interpretativo dei processi in atto, mettendo in evidenza la presenza di magma ristagnante alla profondità di 6 km.

La prospettiva di una risalita del magma coincide con quella di una eruzione?
I Campi Flegrei sono un vulcano attivo, che ha eruttato negli ultimi 15.000 anni in tre fasi intervallate da lunghi periodi di riposo. L’ultima fase risale a 4.000 anni fa. Da allora i Campi Flegrei hanno eruttato una sola volta: la famosa eruzione del Monte Nuovo nel 1538. Non si può escludere che in un futuro, anche lontano, il vulcano possa eruttare. Se il magma dovesse risalire velocemente, non si potrebbe escludere un’eruzione. Attualmente non si osservano segnali certi associati alla risalita del magma. Il sistema di monitoraggio resta, ad oggi, il migliore strumento per conoscere lo stato del vulcano.

Se il magma cominciasse a migrare verso la superficie quanto tempo impiegherebbe ad arrivare a 0 km?
La risalita del magma è un fenomeno complesso: quando il magma è in pressione, può fratturare le rocce producendo particolari terremoti (detti ‘a bassa frequenza’) ed entrare in una frattura, dove è soggetto a raffreddamento per il contatto con rocce più fredde. Questo tipicamente comporta l’arresto della propagazione. Tuttavia, in rari casi, la forte pressione del magma può far propagare il magma fino alla superficie. Questo fenomeno richiede, tipicamente, alcuni giorni o settimane. In superficie, le reti di monitoraggio registrerebbero la presenza di segnali a bassa frequenza, e particolari anomalie nella deformazione, che oggi non vediamo.

Nelle ultime settimane la maggior parte delle scosse è avvenuta a un a profondità di 2 km, questo ha un significato per voi scienziati?
Questo significa che le zone soggette a maggiori sforzi sono a bassa
profondità. Associati ai terremoti notiamo anche aumenti dei flussi di vapore acqueo e anidride carbonica. Questo fa pensare ad un forte coinvolgimento del sistema idrotermale superficiale riscaldato.

Come prosegue il sollevamento del suolo e a che velocità?
Il sollevamento procede a una velocità di circa 1 cm/mese, con punte di 3 cm/mese. Nelle fasi di maggiore velocità assistiamo a un aumento dei terremoti e del degassamento.

Questo cosa comporterà?
Se dovesse continuare così, questo comporterà una sismicità simile a quella attuale o superiore. Tuttavia, questi processi di sollevamento possono anche arrestarsi come avvenuto alla fine delle crisi degli anni ’50, nel 1972 e nel 1984.

È corretto affermare che gli sciami degli ultimi mesi “per potenza complessiva superano anche quelli della crisi sismica del 1984″?
Possiamo dire che l’energia sismica rilasciata nell’ultimo anno è superiore a quella rilasciata durante l’intera crisi del 1984, anche se i sistemi di rilevazione sono cambiati, rendendo le comparazioni più complesse.

L’affermazione che i Campi Flegrei potrebbero vivere al massimo una scossa di magnitudo 5 è scientificamente valida?
La magnitudo 5 per i Campi Flegrei è un valore massimo plausibile. In generale, la magnitudo di un terremoto è associata alla dimensione della faglia che lo produce. La caldera dei Campi Flegrei ha un diametro di circa 12 km, molto minore delle strutture tettoniche di altre zone di Italia o del mondo, lunghe centinaia di km e che possono produrre terremoti di scala maggiore. La dimensione della caldera pone un limite massimo alla lunghezza di una faglia nei Campi Flegrei e di conseguenza alla magnitudo massima del terremoto.

Il fatto che in passato non ci siano state scosse di magnitudo superiore può parzialmente garantire che non ci saranno?
Questo in generale non si può dire perché i terremoti di magnitudo maggiore sono più rari e il fatto che non siano avvenuti nel passato potrebbe essere solo legato alla loro bassa probabilità di accadimento. Tuttavia, l’occorrenza di un grande terremoto sarebbe associata al movimento di una grande faglia. La magnitudo 5 rappresenta un limite massimo, non impossibile da raggiungere, ma con bassa probabilità di accadimento.


Ci sono i satelliti, i Gps, i sensori. Il monitoraggio su Campi Flegrei è
costante e strettissimo, ma come capire se un’eruzione fosse imminente?
L’occorrenza di un’eruzione è necessariamente associata alla migrazione del magma dal profondo alla superficie. Questo produrrebbe terremoti associati alla fratturazione delle rocce, con particolare presenza di eventi “a bassa frequenza”, registrabili dai sensori sismici. Inoltre, la deformazione prodotta dal magma in risalita lungo una frattura produrrebbe un’anomalia nella forma della deformazione superficiale, che sarebbe individuabile dall’analisi dei segnali dei GPS e dei satelliti. Oggi non vediamo questo tipo di anomalie.
Recentemente, la Grecia, e in particolare le Cicladi con Amorgos e Santorini, ha vissuto momenti drammatici. Possiamo dire che quella situazione – pur con tutte le differenze e i distinguo possibili – presenta un rischio maggiore rispetto ai Campi Flegrei?
La situazione attuale delle zone Santorini-Amorgos è profondamente diversa da quella dei Campi Flegrei. Ai Campi Flegrei la sismicità è associata a processi locali dovuti all’aumento delle pressione dei sistemi idrotermali e forse al movimento di fluidi magmatici, confinati all’area dei Campi Flegrei. A Santorini, la sismicità è associata alla dislocazione di lunghe strutture tettoniche sottomarine dovute allo scontro tra la Placca Africana e quella del Mar Egeo. Si tratta di processi con energie in gioco di ordini di grandezza superiori. Ovviamente, nel contesto vulcanico di Santorini, non si può escludere un’interazione tra i processi tettonici su larga scala e il sistema vulcanico dell’isola, ma è ancora presto per dirlo.

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