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Auditorium di Roma: licenziamento illegittimo, ma invece di cercare l’accordo la Fondazione butta via 120 mila euro

L'ex dirigente Monica Regini è stata messa alla porta nel 2019, dopo 17 anni di lavoro. I giudici hanno negato la giusta causa, la Cassazione ha imposto il reintegro. Ora è possibile l'esposto alla Corte dei Conti
Auditorium di Roma: licenziamento illegittimo, ma invece di cercare l’accordo la Fondazione butta via 120 mila euro
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Ma perché la Fondazione Musica per Roma, che gestisce un’istituzione culturale importante come l’Auditorium della Capitale, ha buttato almeno 120 mila euro di soldi pubblici per rifiutare una transazione su una causa di lavoro già persa? È il caso di Monica Regini, una dirigente licenziata nel 2019, quando era amministratore delegato il messicano José Ramòn Dosal Noriega, che entrò in conflitto con lei come con altre figure valorizzate in precedenza da Carlo Fuortes. Una gestione assai discussa, quella di Dosal. Non è l’unica causa di lavoro persa dalla Fondazione per fatti di quel periodo.

Il licenziamento senza giusta causa – “Lavoravo all’Auditorium da 17 anni, ero a capo della produzione”, racconta Regini. L’hanno mandata a casa, si legge nelle carte, per aver scattato qualche foto nei locali aziendali e aver usato un po’ troppo una stampante. Sciocchezze. La giusta causa non c’era. In secondo grado nel 2021 la Corte d’appello di Roma ha condannato l’ente del Campidoglio a pagarle 18 mensilità di risarcimento, circa 120 mila euro (lordi) a fronte di emolumenti annuali attorno ai 90 mila euro (sempre lordi). Regini però ha fatto ricorso, assistita dall’avvocato Francesco Bronzini, e la Cassazione nel 2024 ha ordinato l’applicazione dell’art. 18 comma 4 dello Statuto dei lavoratori, che prevede la reintegrazione nel posto di lavoro. “Ma io all’Aditorium non sarei mai tornata, ci ho rimesso la salute con questa storia. Ormai faccio un altro lavoro, la guida turistica, che mi dà grandi soddisfazioni. Dopo la Cassazione abbiamo chiesto 130 mila euro per chiudere, 100 mila netti, avrei rinunciato anche ai contributi. Ma hanno rifiutato – protesta Regini – e ora, con il pregresso, si trovano a dover pagare molto di più”.

Niente transazione (e il costo sale) – Quanto di più? Il secondo appello, qualche settimana fa, ha ridotto il risarcimento da 18 a 12 mensilità, come previsto in caso di reintegrazione, alle quali si aggiungono le 15 dovute per la rinuncia al posto (il saldo è nove: poco più di 60 mila euro lordi già versati alla ricorrente), più 40 mila euro per il Tfr maturato nei sei anni di causa e oltre 150 mila euro di contributi da pagare all’Inps (un terzo della retribuzione lorda) per lo stesso periodo: il totale supera senz’altro i 250 mila euro. A tenersi bassi ci hanno perso 120 mila euro di differenza, ma anche se la signora avesse accettato di tornare all’Auditorium avrebbero dovuto pagare i contributi non versati e accantonare il Tfr, per un valore largamente superiore alla transazione rifiutata, oltre a riassumerla per un costo aziendale ben oltre i 100 mila euro annui. Ovviamente Regini non l’ha presa bene perché avrebbe preferito una somma cash più consistente.

La risposta di Musica per Roma – La Fondazione replica: “Importi non rispondenti al vero”. Ma non ne propone altri: “È stata la signora a rifiutare una controproposta, ma sono trattative riservate”, spiegano, minacciando “opportune iniziative” in caso di “diffusione di notizie false”. Sostengono perfino che “la Corte di Cassazione non ha predisposto la reintegrazione della ricorrente”, quando l’ordinanza del 24 maggio 2024 riconosceva testualmente “l’operatività del comma 4 dell’art. 18 l. n. 300 del 1970”, disponendo che il giudice di merito “si uniformerà al principio innanzi richiamato”. Certo, in teoria la Corte d’appello avrebbe potuto decidere diversamente, ma poi il processo sarebbe tornato in Cassazione.

Esposto alla Corte dei Conti? – Perché non transare? Non si capisce. Amministratore delegato di Musica per Roma dal settembre scorso è Raffaele Ranucci, facoltoso senatore del Pd, proprietario di alberghi, già a capo di Trambus ed Ente Eur, molto vicino al sindaco Roberto Gualtieri e in ottimi rapporti con il costruttore-finanziere-editore Francesco Gaetano Caltagirone, uno degli uomini più potenti a Roma. Si vocifera che puntasse all’Acea, colosso controllato dal Comune e partecipato da Caltagirone. Forse Ranucci non ha voluto mettere la firma sotto una transazione che di fatto avrebbe ammesso un licenziamento illegittimo, che pure non era opera sua, così ha preferito attendere la sentenza definitiva. Si sarebbe comportato diversamente se fossero stati soldi suoi? “Sto pensando di fare un esposto alla Corte dei Conti”, confida Regini.

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