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Tre anni dalla guerra in Ucraina: l’Ue resta fuori dai negoziati e paga il suo prezzo

Tre anni dalla guerra in Ucraina: l’Ue resta fuori dai negoziati e paga il suo prezzo
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di Stefano Briganti

Tra una manciata di giorni il conflitto russo-ucraino sarà giunto al suo terzo anniversario. Tre anni che hanno cambiato radicalmente lo scenario del continente europeo: economico, sociale, geopolitico e culturale. Un conflitto che da febbraio 2022 a novembre 2024 ha seguito un corso unicamente bellico. Sin dalla prima settimana si è capito quali fossero gli schieramenti in campo. Per l’occidente democratico, il 24 febbraio 2022 è il presidente americano Joe Biden ad annunciarlo: “Abbiamo [Usa] costituito un’alleanza di oltre 50 paesi a fianco dell’Ucraina”. Una coalizione “Usa Allied & Partners” per abbattere l’autocrazia della Federazione Russa di Putin, che aveva in modo “unprovoked” invaso l’Ucraina. Gli Stati Uniti dettano la strategia della coalizione seguendo le linee indicate dallo studio 2019 della Rand Co. “Overextending Russia”. Due guerre, una sul campo da far combattere agli ucraini e una economica fatta di sanzioni da far combattere agli alleati.

Sono gli anni in cui vengono forgiati i proclami che sosterranno in modo martellante la strategia bellica degli Alleati. “E’ in corso una battaglia tra democrazia e autocrazia e la democrazia prevarrà” (Biden 2022), “Dichiarare l’impossibilità di condurre trattative con il Presidente della Federazione Russa V. Putin.” (Zelensky legge 679/2022), “Le sanzioni che abbiamo imposto a Mosca hanno avuto un effetto dirompente sulla macchina bellica russa, sulla sua economia” (Draghi 2022), “L’Ucraina non sarà mai una vittoria per la Russia” (Biden 2023), “La pace arriverà solo quando l’Ucraina vincerà la guerra” (Borrell 2023). “Stanziare 3 miliardi di sterline all’anno di sostegno militare all’Ucraina fino al 2030/31 e per tutto il tempo necessario” (Starmer 2024), “Un maggiore supporto militare all’Ucraina e sanzioni più severe alla Russia…” (Kallas 2024).

Una furia bellica, cieca di diplomazia, costata all’Ucraina il sangue di migliaia di uomini, un numero imprecisato di civili, una fetta del suo territorio, la distruzione delle principali infrastrutture produttive, l’esodo di quasi sei milioni di persone e un’economia che sopravvive grazie a prestiti esteri. Anche l’Europa ha pagato il suo prezzo. Oltre 120 miliardi di euro bruciati in armi, un’economia piegata dagli effetti boomerang delle sanzioni a Mosca, la Germania in recessione da due anni e i prezzi dell’energia raddoppiati rispetto al 2021 e cinque volte superiori a quelli Usa. Soprattutto un taglio profondo e drammatico con la Federazione Russa, dai rapporti economici e diplomatici fino a quelli sociali.

A novembre 2024 Joe Biden, il presidente della “proxy war” ideologica alla Russia, lascia il posto a Donald Trump che ritiene che gli Usa non abbiano interessi dalla guerra e lancia un nuovo corso per il conflitto: farlo finire prima possibile con una trattativa. A dimostrazione che per gli “Usa Allied & Partners” è Washington a dettare le regole di ingaggio e che Kiev è solo un fedele esecutore. Zelensky nel giro di due mesi cambia anche lui la visione ucraina del conflitto, passando da “armi a Kiev, tante, subito e potenti” e da “negoziare con Mosca significa consegnare la vittoria a Putin” a “negoziazione subito e trattativa con urgenza”. Solo la Ue, oggi con una Commissione “baltica”, è rimasta ancorata ad una politica bellicista, stavolta però per se stessa contro la Russia, spostando il mantra “armi subito e tante” dall’Ucraina all’Europa in piena ebbrezza bellica.

Insomma la guerra russo-ucraina, nata come “conflitto regionale”, si chiuderà in Ucraina ma ha seminato e partorito non solo le premesse per una nuova Guerra Fredda europea, ma anche un nuovo scenario geopolitico di alleanze e partnership orientato verso est. Agli Usa andrà in premio la maggior parte del business della ricostruzione ucraina a iniziare dai minerali rari (“A chi [Usa] ha dato di più noi daremo di più”, Zelensky 2025). All’Europa l’onore/onere di far entrare subito nella Ue un paese devastato dalla guerra senza riceverne il minimo vantaggio.

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