Grazie Simone

Ieri sono tornato a casa stanco, stanchissimo. Arrivavo da due giorni di trasferta pesanti e per la prima volta dopo anni non mi sono seduto sul divano per guardare la serata inaugurale del Festival di Sanremo. Questa mattina, però, i feed dei miei social, che evidentemente sanno di me più di quanto io stesso non voglia ammettere, erano pieni di commenti o articoli su una sola canzone: Quando sarai piccola, portata sul palco dell’Ariston da Simone Cristicchi.
Nei giorni immediatamente precedenti all’avvio della Kermesse ne avevo sentito parlare, ma più che altro perché una di quelle “in quota cantautori” o in virtù della commozione del presentatore del PrimaFestival, Gabriele Corsi, arrivato alle lacrime mentre intervistava proprio Cristicchi. È così che, quasi per caso, sono andato su Rai Play e ho ascoltato l’esibizione. E ho pianto. Da solo, sommessamente, con gioia e liberazione.
Si dice, ed è vero, che sia naturale perdere un genitore. Nonostante questo, ve lo dico per esperienza, non si è comunque mai preparati a che ciò avvenga. E men che meno si è preparati a vedere tua madre o tuo padre spegnersi a poco a poco. Mantenere il loro corpo, ma non la loro anima e la loro mente.




È un dolore sordo, straziante. Hai davanti l’aspetto della persona che conosci e ami da quando sei nato, ma non ne hai più lo spirito. Senti di aver sprecato troppo tempo, senti che quella persona che ami alla follia ti sta sfuggendo di mano. Vorresti trattenerla, dirle o dirgli che gli vuoi bene, che ti dispiace per tutte le volte che non hai chiamato per dire che eri arrivato a destinazione, che potendo tornare indietro ti arrabbieresti di meno e ascolteresti di più i suoi consigli, ma non puoi. Sfugge, come il vento fra le dita di un bambino in riva al mare.
E magari, come fu nel mio caso, non puoi dirglielo anche perché chi ti ha messo al mondo, chi ha fatto sacrifici inimmaginabili per la tua felicità, oggi non ti riconosce più. Nella migliore delle ipotesi ti scambia per qualcun altro. Nella peggiore, semplicemente, ti tratta con cortesia, ma non ha idea di chi tu sia.
I ruoli si ribaltano, un tempo tu bambino li costringevi a ripeterti mille volte le stesse cose e loro, non si sa in virtù di quale forza suprema, lo facevano senza arrabbiarsi. Adesso loro ti rivolgono la medesima domanda e tu ripeti la medesima risposta in un cerchio infinito.
“Ti ripeterò il tuo nome mille volte fino a quando lo ricorderai/…./Per restituirti tutto, tutto il bene che mi hai dato.”
Canta Cristicchi mentre lo ascolto, e ancora:
“C’è quella rabbia di vederti cambiare/ E la fatica di doverlo accettare/ Ci sono pagine di vita, pezzi di memoria/Che non so dimenticare.”
Quando mi sono trovato solo, quando il tormento dei miei genitori era finalmente finito ci ho provato a dimenticare. Dio solo sa quanto io ci abbia provato. Ma non ci sono riuscito. E non è giusto, perché, usando ancora una volta le parole di Cristicchi, non va fatto. Bisogna ricordare.
“Per restituirti tutta questa vita che mi hai dato/ E sorridere del tempo e di come ci ha cambiato.”
Grazie Simone per avermelo ricordato.