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Ucraina, solo l’Ue parla ancora di guerra (e di spesa per le armi): Zelensky e Putin pronti a trattare, Trump ora punta i giacimenti di Kiev

Von der Leyen e Kallas ancora ferme sulla linea dello scontro. E la Commissione svincola di fatto la spesa per la Difesa dal patto di stabilità
Ucraina, solo l’Ue parla ancora di guerra (e di spesa per le armi): Zelensky e Putin pronti a trattare, Trump ora punta i giacimenti di Kiev
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Le parole con le quali Volodymyr Zelensky ha aperto a una trattativa diretta con Vladimir Putin sulla pace in Ucraina avrebbero dovuto provocare reazioni positive tra i governi maggiormente coinvolti nel conflitto. E in parte è successo. Mosca ha accolto le dichiarazioni con freddezza ma dando la propria disponibilità a trattare. Donald Trump ha ribadito che nelle interlocuzioni con Kiev e con la Federazione si stanno compiendo progressi. Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha accolto le parole del capo di Stato ucraino con soddisfazione, con la speranza che “il 2025 sia l’anno della pace”. C’è un luogo, però, dal quale dopo oltre 24 ore dall’intervista del presidente ucraino non arriva alcuna reazione: è Bruxelles.

Le uniche notizie uscite dalla bolla europea nelle ore che hanno seguito le dichiarazioni di Zelensky riguardano un nuovo pacchetto di sanzioni alla Russia, il 16esimo, presentato proprio mercoledì dai funzionari della Commissione ai rappresentanti permanenti dei singoli Stati membri, e la volontà di Palazzo Berlaymont di istituire un Tribunale speciale per il crimine di aggressione contro l’Ucraina. “L’incontro di oggi rappresenta una svolta in un processo continuo volto a garantire la responsabilità per il crimine di aggressione contro l’Ucraina, nonché a sostenere il sistema di giustizia penale internazionale”, si legge in una nota. “Nessuno è intoccabile, questo è il messaggio che lanciamo alla Russia”, ha detto l’Alto rappresentante per la Politica Estera dell’Ue Kaja Kallas.

Posizione chiara e coerente con quanto dichiarato fino a ora, quella dell’Ue, e certamente attinente ai fatti di un conflitto che si appresta ormai a entrare nel suo terzo anno. Resta da capire perché, dopo settimane nelle quali da Washington, Kiev e Mosca si sono registrate aperture, seppur prudenti, in direzione di una distensione, Bruxelles rimanga l’unico attore a portare avanti la strategia delle armi a discapito di quella della diplomazia. Una possibile spiegazione la si potrebbe cercare nel programma stesso della nuova Commissione von der Leyen che per i prossimi cinque anni ha deciso di mettere ai primi punti della sua agenda la competitività, con annesso smantellamento parziale del fu Green Deal, e lo sviluppo del settore della Difesa. Quest’ultimo da alimentare portando la spesa dei singoli Stati ben oltre il 2% stabilito dagli accordi Nato, anche a costo di sacrificare, come dichiarato dal segretario generale dell’Alleanza Mark Rutte e ancora da Kallas, anche fondi destinati alla sanità, alle scuole e al welfare in generale. Tutto giustificato da un semplice assioma: l’Europa è in pericolo, per questo deve riarmarsi e armare l’Ucraina.

Per far sì che i singoli Stati membri non incontrino eccessivi ostacoli lungo la strada degli investimenti nel campo della Difesa, che andranno ad accrescere i già enormi guadagni registrati negli ultimi anni dalle aziende produttrici di armi, la Commissione sta cercando degli escamotage per evitare che questi vadano a impattare sui bilanci degli Stati. Da qui nascono le dichiarazioni di lunedì di Ursula von der Leyen al termine dell’incontro informale tra i leader Ue: “I bilanci nazionali devono sottostare attualmente a non poche costrizioni per via del Patto di Stabilità. Ma sono possibili eccezioni in tempi eccezionali. E i nostri sono tempi eccezionali. Cercheremo di rendere molto più flessibile la spesa per la Difesa per offrire nuovi margini ai Paesi membri”. Una concessione che alcuni Stati avevano richiesto per poter raggiungere la quota del 2% del Pil in spesa per la Difesa e che oggi sembra arrivare per consentire un innalzamento di questa percentuale, come richiesto anche da Donald Trump. “C’è grande urgenza di aumentare la spesa per la Difesa e per questo servono prima di tutto più fondi pubblici. Sono disponibile a esplorare e userò tutta la gamma di flessibilità che abbiamo nel nuovo Patto di Stabilità e crescita per consentire un significativo aumento della spesa per la Difesa”, ha ribadito la presidente.

Ma senza una guerra da combattere, o da far combattere, come si giustifica tutta questa “urgenza”? È per questo che il graduale cambio di strategia da parte di Zelensky mette in crisi le istituzioni Ue. Mesi fa il presidente ucraino ha aperto alla partecipazione della Russia alla conferenza di pace in Svizzera, poi ha detto di voler arrivare a un’intesa entro la fine del 2025, ha poi ammesso che rientrare in possesso di tutti i territori persi nel corso del conflitto, compresa la Crimea, è impossibile. E nonostante questi fatti, ai quali si aggiunge la dichiarata intenzione di Trump di mettere fine al conflitto nel più breve tempo possibile, la nuova leadership europea non ha mai messo in discussione la propria strategia, con von der Leyen e Kallas in prima fila a dichiarare che “Putin conosce solo il linguaggio della forza” o che “dobbiamo spendere di più per prepararci alla guerra.

Adesso, però, la situazione sta cambiando e se si dovesse veramente aprire un tavolo di trattative, magari con un cessate il fuoco, diventerebbe difficile per i vertici dell’Unione giustificare una strategia così spregiudicata. Anche perché Zelensky sembra aver toccato un tasto sensibile per convincere Trump a supportarlo in un’ipotetica fase negoziale: quello dei possibili vantaggi economici. È nel corso della stessa intervista con la quale ha aperto alle trattative con Putin che il leader di Kiev ha ricordato l’esistenza di importanti risorse minerarie nel suo Paese, soprattutto grafite, litio, titanio, berillio e uranio, pronte per “investimenti di aziende americane“, sottraendole così alle mire di Russia e, soprattutto, Cina. Di fronte a una prospettiva così vantaggiosa per Washington gli interessi dell’Ue passerebbero in secondo piano.

X: @GianniRosini

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