Noi eravamo diversi. No: noi eravamo migliori. Ed era certo che fosse così. Noi il terzo stadio, la comprensione dei principi e della loro devianza, noi la speranza che sempre consegue gli errori.
Capitolo 1: 1990
L’aberrazione dei media era cominciata con la generazione dei nostri avi, la prima a possedere la tecnologia in maniera diffusa. Un nuovo benessere. Su schermi voluminosi, la rete dei satelliti rilanciava in tutto il mondo immagini e suoni e concetti, animando il nuovo spirito democratico del tempo. Cento, mille, milioni avevano visto l’uomo andare sulla Luna e l’avevano sentito; con un tasto sul telecomando potevano accendere canali dispensatori di felicità. Tutti avevano accesso alla cultura e all’informazione: vennero creati programmi per diffondere l’istruzione, il sapere, la verità.
Ma se cento, mille, milioni stavano tutti dalla stessa parte, uguali tra loro, non significa che dall’altro lato non ci fosse nessuno. Tanti a ricevere e ad ascoltare, pochi a parlare. Democrazia e oligarchia hanno entrambe forma di piramide, a renderle opposte è il verso con cui fluisce il potere: se ascende dal basso verso l’alto è democrazia, se troneggia dal vertice alla base è oligarchia. Quando i pochi compresero il loro potere, lo esercitarono. Le informazioni vennero selezionate per irretire, camuffare, distrarre; la notizia venne plagiata e così le menti, il consenso. La politica divenne mercato, l’opinione autorità.
Capitolo 2: 2020
La seconda generazione riconobbe l’oppiacea distrazione dei televisori e la giudicò noiosa e malsana, superata. Un nuovo spirito egualitario colse l’umanità: tutti avrebbero potuto ascoltare e tutti, finalmente, avrebbero dovuto dire. Ognuno divenne attore e spettatore, autore e fruitore. Su schermi portatili, ogni informazione era disponibile, volante e volatile. Mai l’umanità aveva avuto tanto accesso alla conoscenza, mai tutti erano stati così prossimi al potere. Qualcuno, che fino a quel momento era nessuno, divenne influente. Colta da una vanitosa ambizione, la generazione dei nostri padri dedicò il suo tempo ad assorbire e a produrre contenuti, fino a smettere di parlarsi.
Assorta nel proiettare falsi sé a una rete di sconosciuti, l’interazione umana divenne virtuale, regolata da un sistema quantitativo di apprezzamenti e commenti. Ogni competenza divenne opinabile, ogni prova manipolabile. La piramide fu livellata verso il basso: una superficie piatta, a cui i grandi e gli ultimi della terra accedevano tramite dispositivi imprescindibili. Erano tutti profilati, ma non erano tutti uguali. Alcuni, pochissimi, possedevano la tecnologia, la superficie stessa. E per profitto la consegnarono alle logiche del capitale e di un’oligarchia sempre più dispotica. Il popolo assuefatto venne privato del pensiero critico da algoritmi ipnotici.
Capitolo 3: 2050
E poi arrivammo noi, disconnessi per riscoprire i libri, la manualità, la natura. Gli schermi, grandi e piccoli, caddero in disuso per un ritorno alla vera essenza. Biasimo su chi ancora si arrovellava sui social, sprecando se stesso. Spegnendo i dispositivi tornammo a dialogare a tavola, ad assaporare i frutti coltivati in giardino, a sentire l’energia che la terra sprigiona. Ciò non vuol dire che rifiutammo la tecnologia ma che la rendemmo intelligente. Non più click, non più touch, ma la parola come mezzo per accedere alla rete della conoscenza e con lei confrontarsi, dialogare. A una tecnologia amica confidammo i nostri segreti, affidammo ogni conoscenza affinché la facesse progredire e ci insegnasse a utilizzarla con etica. L’intelligenza artificiale ci spiegò come coltivare con rispetto la terra, come ottimizzare il ciclo dei rifiuti, come gestire equamente le risorse del pianeta. E vedendo che era efficiente, smise di insegnarcelo e ce lo impose.
Non occorre liberare gli schiavi, basta donare loro nuove catene.