Il presidente ad interim della Siria Ahmed al-Sharaa, leader della formazione militare islamista Hayat Tahrir al-Sham noto in precedenza col nome di battaglia al-Jolani, vola ad Ankara per incontrare il presidente turco Recep Tayyp Erdogan.
L’incontro, nell’imponente palazzo presidenziale di Ankara, rimarca il forte legame tra la nuova leadership siriana e la Turchia. “I colloqui si concentreranno anche sul sostegno che può essere fornito al governo di transizione e al popolo siriano attraverso piattaforme multilaterali”, ha dichiarato il portavoce di Erdogan, Altun. Secondo i media siriani, Damasco e Ankara vorrebbero stringere un patto per l‘addestramento dell’esercito regolare siriano, in cui la al-Sharaa sta cercando di far confluire le centinaia di gruppi armati locali, dai diversi orientamenti politici e affiliazioni religiose, che hanno partecipato alla lotta contro il regime di Bashar al-Assad.
Sharaa, che ha guidato l’offensiva armata che ha rovesciato il regime a dicembre, ha compiuto domenica il suo primo viaggio all’estero in Arabia Saudita dopo essere stato nominato presidente ad interim la scorsa settimana. La Turchia è stata il principale sostenitore dei gruppi di ribelli siriani ed è stata una delle prime capitali straniere a impegnarsi con la nuova leadership di Damasco, inviando il suo ministro degli Esteri Hakan Fidan e il capo dell’intelligence turca Ibrahim Kalin a Damasco già nei giorni immediatamente successivi alla caduta di Assad.
“La Siria verso la democrazia. Nuovo governo entro un mese” – Martedì il settimanale britannico Economist ha pubblicato un’intervista con il leader autoproclamato della nuova Siria post-Assad, in cui al-Sharaa ha dichiarato che la Siria sta andando verso la democrazia: “Se democrazia significa che le persone decidono da chi saranno governate e da chi saranno rappresentate in parlamento, allora sì, la Siria sta andando in questa direzione”, ha detto il nuovo presidente siriano.
Entro un mese la Siria avrà un nuovo Consiglio dei ministri che sostituirà quello ad interim formato a dicembre scorso per un periodo transitorio di soli tre mesi, ha detto al-Sharaa all’Economist, annunciando anche che “entro un mese si avrà un governo con una partecipazione ampia e variegata da parte di tutti i segmenti della società”. I nuovi ministri, ha precisato Sharaa, saranno scelti in base alle “competenze e non sulla base etnica o confessionale”, aprendo implicitamente alla possibilità di vedere un prossimo potere esecutivo con ministri non solo musulmani sunniti ma anche di altre comunità.
Sharaa ha inoltre affermato che “ci saranno elezioni libere e giuste”, sia per il parlamento che per la presidenza, ma senza precisare i tempi di queste consultazioni, e ha ribadito la necessità di avviare l’elaborazione di una nuova costituzione, un processo che prenderà “dai tre ai quattro anni di tempo”.
Contro la presenza militare di Israele e Usa – In altri passaggi dell’intervista al-Sharaa difende la sovranità nazionale e bolla come “illegale” la presenza militare statunitense in Siria. Gli Usa hanno impiegati circa duemila marines a sostegno delle Forze democratiche siriane (Sdf) nella lotta all’Isis nel nord est della Siria, che da tempo si è costituito come amministrazione autonoma (conosciuto anche come Rojava). È la prima volta da quando ha preso il potere a Damasco che al-Sharaa si esprime sulla presenza militare americana nella Siria orientale e nord-orientale.
La situazione del nord est siriano resta un’incognita, dopo la caduta del regime. La Turchia e una federazione di mercenari suoi proxy riuniti sotto la sigla dell’Esercito nazionale siriano (Sna) continuano a minacciare militarmente il territorio dell’amministrazione curda, scontrandosi con le Sdf. Nel frattempo, la leadership curda è impegnata in negoziati con il nuovo regime, che si è impegnato a garantire l’autonomia della regione ma allo stesso tempo vorrebbe smantellare le Sdf e riunirle sotto il controllo dell’esercito nazionale, come per gli altri gruppi armati. Sullo sfondo, pesa il progetto della Turchia, membro Nato, di smantellare l’amministrazione curda, considerata un’espressione civile del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) di Abdullah Ocalan, organizzazione terrorista per Ankara e Usa. Ma pesa anche la scarsa volontà della nuova amministrazione Usa di Donald Trump restare coinvolta in nuovi conflitti in Siria.
Più dure le parole rispetto all’occupazione militare Israele al capo opposto del Paese, nelle alture del Golan a sud ovest dove l’Idf, dopo la caduta di Assad, ha allargato e consolidato le posizioni che occupava dal 1967 e dove intende restare “a tempo indeterminato”, secondo le ultime dichiarazioni del premier di Tel Aviv Benjamin Netanyahu. Al-Sharaa ha detto all’Economist che Israele deve ritirarsi dal territorio siriano.