Le parole dure di Donald Trump sono arrivate chiare ai piani alti del Cremlino rompendo l’apparente sintonia tra Mosca e la nuova amministrazione a Washington. “Zelensky vuole la pace – aveva detto il nuovo presidente americano -, ma bisogna farla in due. Se Putin non mette fine a questa ridicola guerra saremo costretti a colpire la Russia con tasse, dazi e sanzioni”. Così, il capo della Federazione ha replicato dando la colpa di questo immobilismo diplomatico proprio al presidente ucraino e all’Occidente: “Nonostante tutte le dichiarazioni, non vi sono segnali che l’Ucraina e l’Occidente siano pronti a negoziati di pace”, ha dichiarato il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov. Anche se Putin torna poi a lanciare messaggi di distensione all’indirizzo di Trump: “Se fosse stato rieletto nel 2020, il conflitto in Ucraina avrebbe potuto essere evitato”, ha detto prima di ribadire di essere disposto a negoziare con l’omologo americano “con tranquillità su tutti i settori di interesse”.
Lo aveva sottolineato anche il Cremlino in mattinata, per bocca del portavoce Dmitry Peskov, dicendo che Mosca era “in attesa di segnali” da Washington. Putin è più esplicito e ricorda come le relazioni col nuovo responsabile dello Studio Ovale si siano sempre basate sul pragmatismo e la fiducia, lodandone “l’intelligenza“. Addirittura ha sposato la teoria delle elezioni farsa, sostenendo che a Trump è stata “rubata la vittoria” nelle elezioni presidenziali del 2020. Riguardi che non sono stati riservati, ad esempio, ai leader europei. Anzi. L’Italia, ad esempio, viene additata dal Ministero degli Esteri come uno dei Paesi con i quali la crisi diplomatica è più aspra: le relazioni fra Russia e Italia, dicono, stanno attraversando la crisi più profonda dalla Seconda Guerra Mondiale e Roma ne è responsabile. Vista la posizione anti-russa dell’Italia, aggiunge il ministero, Mosca ritiene che non possa partecipare al processo di pace in Ucraina.
Sempre il portavoce Peskov conferma le intenzioni di un contatto, ma allo stesso tempo dichiara, smentendo Trump, che il conflitto in Ucraina “non dipende dai prezzi del petrolio”, ma dalla “minaccia alla sicurezza nazionale della Federazione Russa, a causa della minaccia ai russi che vivono nei territori conosciuti e a causa della riluttanza e del completo rifiuto da parte di americani ed europei di ascoltare le preoccupazioni russe”. E alle dichiarazioni specifiche sul conflitto a Kiev passa al tema del disarmo nucleare: Mosca, ha detto, è pronta a discuterne con gli Usa “il prima possibile”, “nell’interesse del mondo intero, nell’interesse dei popoli dei nostri paesi”. “La palla (per avviare la negoziazione, ndr) è nel campo degli americani che hanno bloccato tutti i contratti. Tutti i contatti sostanziali con il nostro Paese”, dice il portavoce del Cremlino che punta il dito anche contro Londra e Parigi: “Nelle condizioni attuali – ha proseguito – è necessario tenere conto di tutti i potenziali nucleari. Ed è impossibile, ad esempio, svolgere una conversazione senza tenere conto dei potenziali nucleari di Francia e Gran Bretagna“.
Nel gioco delle parti, a esplicitare il messaggio, tocca al segretario del Consiglio di sicurezza nazionale russo, l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu, che accusa nuovamente la Nato di “abbassare la soglia per l’uso delle armi nucleari” e avverte la comunità internazionale che il rischio di una guerra tra potenze nucleari “sta aumentando”. “Di fronte all’aumento dei comportamenti conflittuali e all’intensificarsi delle rivalità geopolitiche, i rischi globali di un confronto militare tra i principali attori, comprese le potenze nucleari, stanno crescendo. La politica dei Paesi occidentali è diventata apertamente ostile. L’Occidente ha provocato e sta sostenendo la situazione di crisi in Ucraina”.
La guerra in Ucraina – Trump ribadisce la sua volontà di “mettere fine alla guerra orribile” in Ucraina, assicurando che anche “l’Ucraina è pronta a un accordo”. Nelle dichiarazioni di buone intenzioni la Russia non si tira indietro, ma la telefonata fra Trump e Vladimir Putin, evocata a più riprese da Usa e Russia, si fa ancora attendere. Peskov non ha neanche commentato l’intenzione annunciata dal presidente americano di fare pressione sulla Russia con lo strumento delle sanzioni e dei dazi per indurla a mettere fine al conflitto. “Qui non vediamo alcun elemento di particolare novità – ha glissato il portavoce -. Sapete che Trump nel suo primo mandato è stato il presidente Usa che ha fatto ricorso più frequentemente alle sanzioni. Questi metodi gli piacciono, almeno gli piacevano durante il primo mandato”.
Chi si è detto “molto, molto contento della posizione di Trump di imporre più sanzioni alla Russia” è stato il segretario generale della Nato, Mark Rutte. Ma gli ultimi avvertimenti, sembra dire il Cremlino, potrebbero far parte di una tattica in vista di possibili negoziati. “Stiamo seguendo da vicino tutta questa retorica, ogni dichiarazione, e registriamo tutte le sfumature”, ha sottolineato Peskov. Nelle esternazioni di Trump, del resto, ci sono anche espressioni di stima per Mosca. Come quando, ieri, ha affermato che gli Usa non devono “mai dimenticare” che la Russia li ha “aiutati a vincere la Seconda guerra mondiale”. Nemmeno Mosca “dimenticherà mai” l’aiuto ricevuto da Washington nella guerra contro il nazifascismo, ha promesso Peskov. E anzi, spera che Trump “condividerà la gioia di celebrare l’80esimo anniversario della vittoria” con la Russia. Se non è proprio una proposta di tenere un vertice in occasione dell’anniversario, che cade in maggio, poco ci manca.