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Stellantis, perché Elkann corteggia Trump? La lezione di Marchionne, la cassaforte Jeep da salvare e la piazza Usa in crisi: i motivi del flirt

Il presidente del gruppo franco-italiano vede il tycoon e promette di dargli quello che vuole, ovvero fabbriche e posti di lavoro americani
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“Noi siamo sempre stati filogovernativi. Voi scegliete, noi ci adattiamo”. Era il 2018 quando, in una Balocco addobbata a festa, Sergio Marchionne annunciava il nuovo piano industriale ma soprattutto l’azzeramento del debito netto dell’allora FCA. Indossando anche una cravatta di Zegna, accessorio che non aveva mai usato nei dieci anni precedenti, come da promessa in caso di risanamento dei conti. Nella foto lo vedete, con John Elkann, mentre scherza proprio su questo. La frase fu pronunciata in risposta a un cronista che gli aveva chiesto cosa ne pensasse del primo governo Conte, appena insediatosi. E fu la sintesi della filosofia sabauda che per cent’anni aveva ispirato l’azione dei manager del Lingotto: noi stiamo dalla parte del potere, qualsiasi esso sia. Concetto quanto mai attuale.

Curiosamente, il presidente Usa era Donald Trump. Che, corsi e ricorsi, anche allora minacciava di imporre dazi sulle importazioni negli Usa. Marchionne non si scompose più di tanto di fronte a questa eventualità, forte della rete di rapporti che nel tempo aveva saputo costruire negli States. Tra luci ed ombre, verrebbe da aggiungere. Perché se è vero che, dopo il “salvataggio” di Chrysler, FCA guadagnò punti, le ripetute frizioni coi dealer locali e la vicenda di presunte mazzette ai sindacalisti UAW con relativa denuncia di General Motors, ancora col dente avvelenato per quell’opzione put che nel 2005 obbligò l’azienda americana a versare due miliardi di dollari nelle casse di FCA per evitare di doverla acquistare, non furono certo una bella pubblicità.

Ora Elkann ripropone il corteggiamento al potente di turno, ovvero Trump, come strategia. Di sopravvivenza, più che altro, dal momento che le vendite di Stellantis fanno acqua da tutte le parti e la piazza americana – patria del marchio Jeep, vera cassaforte del gruppo – è sempre più strategica, date le difficoltà sul mercato cinese e l’incertezza che regna in quello del Vecchio continente. Difficile trovare chiavi di lettura alternative per le visite all’ex tycoon, seguite dalle promesse di omaggiarne la neo-presidenza con la creazione di nuova occupazione a stelle e strisce.

“Sotto la guida del presidente Trump, Stellantis sta riportando 1.500 posti di lavoro in Illinois, riaprendo Belvidere e investendo a Detroit, Ohio e Indiana. La rinascita manifatturiera americana è arrivata: benvenuti nell’età dell’oro!”: il post trionfante della Casa Bianca su X, la piattaforma social dell’amico Elon Musk, dimostra che il corteggiamento è gradito. Un po’ meno a sindacati e lavoratori italiani, parte dei quali ancora vive l’incubo della cassa integrazione.

Ma l’Elkann “americano” ha ancora questioni in sospeso da affrontare. Tipo la ricostruzione dei rapporti con i concessionari e con la catena di fornitori locali, messi a dura prova dalla gestione Tavares. Che, evidentemente, non ha creato frizioni solo in Europa. L’annunciata riapertura della fabbrica di Belvidere potrebbe essere un passo verso la distensione, o magari solo una mossa tattica per prendere tempo in attesa di nominare il nuovo amministratore delegato del gruppo. Aspettiamo e sapremo. Nel mentre, il discepolo continuerà a mettere in pratica la lezione del maestro: stare sempre col potere.

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