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A Bussoleno (Valsusa) il record italiano di Pfoa: “Vogliamo un’analisi nei cantieri Tav”

Greenpeace ha rilevato il valore più alto tra i 235 comuni italiani analizzati. Il comitato Acqua SiCura: "Chi inquina? Negli Usa non sarebbe potabile"
A Bussoleno (Valsusa) il record italiano di Pfoa: “Vogliamo un’analisi nei cantieri Tav”
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“Che cosa inquina le acque di una vallata alpina senza siti produttivi di Pfas? Vogliamo analisi nelle grandi opere legate al Tav”. A chiederlo è il Comitato Acqua SiCura dopo la pubblicazione della ricerca di Greenpeace sulla presenza di sostanze inquinanti nelle acque di tutta Italia. Un’indagine che mette Bussoleno, un piccolo comune della Val Susa, al primo posto nella (triste) classifica delle acque con la più alta concentrazione di acido perfluoroottanoico (Pfoa). Un composto considerato cancerogeno dall’Agenzia delle nazioni unite per la ricerca sul cancro. Ma nella fontanella pubblica del centro del paese, Greenpeace ha rilevato un valore di 28,5 ng/ldi Pfoas, il valore più alto registrato tra tutti i 235 comuni italiani analizzati.

“La quantità di Pfoa ritrovata a Bussoleno supera di sette volte i limiti oggi in vigore negli Stati Uniti e non sarebbe considerata potabile” scrive in una nota il comitato Acqua SiCura del comune della Val Susa. La situazione è “inaccettabile per la salute degli abitanti e per l’ambiente naturale di una valle alpina”. Ma il caso di Bussoleno non è isolato. Il Pfoa è stato ritrovato anche nelle analisi della società dell’acqua Smat del 2023 in quantità ancora più elevata a Gravere, Chiomonte e altri comuni della valle. In totale sono venticinque i comuni della Val Susa interessati dall’inquinamento da Pfas. Una valle che in questi ultimi quattordici anni ha visto l’avvio dei cantieri per la realizzazione del Tav.

“Vogliamo analisi di Arpa nei cantieri, nelle grandi opere legate al Tav, nei siti di deposito materiali e smaltimento illegale di rifiuti e su ogni altra possibile fonte di contaminazione delle acque” dice il Comitato Acqua SiCura che chiede di affidare l’indagine indipendente alle “Unioni Montane e al Cnr”. Per i cittadini, serve un cambio di passo dunque da parte delle istituzioni. “Non bastano più i monitoraggi da parte degli enti pubblici – spiega a Ilfattoquotidiano.it la docente universitaria in sicurezza ambientale Marina Clerico – ma serve un’indagine per capire quali sono le cause di questi valori affinché questa situazione non si ripeta più”.

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