Producono missili, droni e armi chimiche. Secondo gli apparati di sicurezza occidentali, sono centri di ricerca militare che sorgono in tutta la Siria e fanno parte di un network chiamato “CERS” (Centre D’Etudes et de Recherches Scientifiques). Israele ha reso noto di averne bombardati alcuni nelle ultime ore “affinché non cadano nelle mani degli estremisti”. Ma le milizie che hanno rovesciato il regime di Bashar Al Assad hanno preso il controllo di almeno due di loro. E ora possono entrare in possesso di un grande patrimonio fatto di armamenti e knowledge necessario a produrli.

Il CERS impiega in tutto il paese circa 20mila dipendenti e conta decine di strutture tra istituti di ricerca, fabbriche e siti di stoccaggio. I servizi segreti israeliani lo hanno finora considerato “una sorta di piattaforma congiunta siriano-iraniano-Hezbollah”. Fino a pochi giorni fa la loro sicurezza era affidata “alla Forza Quds (corpo speciale dei Guardiani della Rivoluzione iraniana, ndr) e all’unità di sicurezza di Hezbollah in Siria, l’Unità 9000″ perché Teheran li utilizzava per inviare armamenti alle milizie sciite libanesi. Pochi giorni dopo l’inizio dell’offensiva il 27 novembre, i ribelli hanno preso il controllo di due importanti strutture vicino ad Aleppo: la prima a ovest della città martire, la seconda – composta di due grandi complessi, il Defense Factories Compound e il Suleiman Compound – vicino ad Al Safira, 25 km a sud-est.

Il 3 dicembre, poi, i ribelli di Fatah al-Mubin hanno diffuso un video che mostrava un attacco con droni lanciato contro gli uffici amministrativi del centro di ricerca di Masyaf, circa 30 km a ovest di Hama, dove si trova l'”Istituto 4000“, uno dei più importanti del network. Molte delle attività svolta nella struttura sono state per anni “sotto la diretta supervisione da parte di ufficiali senior della Forza Quds” e tra queste c’è lo sviluppo di un “progetto missilistico di precisione“, ma anche la produzione di droni, missili terra-terra M-600/Fateh-110, barili-bomba e bombe a barile e razzi Al-Burkan. E proprio nell’area di Masyaf sarebbero immagazzinati missili e razzi armati con armi chimiche, tra cui il gas Sarin.

Sono queste ultime, ora che il regime degli Assad è caduto, a rappresentare una della più grandi incognite relative alle infrastrutture militari del paese. A sviluppare e produrre armi chimiche in Siria, sotto la supervisione di Teheran, sarebbe proprio il CERS. Dagli anni ’80 il compito è affidato al cosiddetto “Istituto 3000” (poi denominato “Istituto 5000”, quindi “Istituto 6000”), responsabile anche dello stoccaggio, dell’elaborazione e dell’assemblaggio di testate chimiche. Dal 2013, anno in cui fu accusata di averle utilizzate per reprimere le rivolte scoppiate nella cosiddetta “primavera siriana”, Damasco è sotto la lente d’ingrandimento dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche. Il 30 settembre 2014 si è conclusa una missione congiunta Opac-Onu in seguito alla quale “tutte le armi chimiche dichiarate dalla Siria sono state rimosse e distrutte in maniera verificabile al di fuori del suo territorio”. Tuttavia “permangono dubbi sulla completezza della dichiarazione della Siria” e ora l’organizzazione chiede “di garantire la sicurezza e la protezione di tutti i materiali e le strutture relative alle armi chimiche”.

Tel Aviv ritiene che il regime di Assad possedesse ampie capacità di produrre armi chimiche e, anche se non hanno mai riconosciuto di aver condotto le operazioni, negli ultimi anni le Israel Defense Forces hanno più volte messo nel mirino le strutture del CERS. L’ultima a settembre, quando un raid aereo ha ucciso almeno 18 persone a Masyaf. Secondo l’intelligence, gli attacchi hanno rallentato ma mai interrotto definitivamente i programmi di Damasco. Se fino a pochi giorni fa il timore era che le armi potessero essere trasferite a Hezbollah, ora esiste la possibilità – o meglio, la quasi certezza – che possano finire nella mani di gruppi jihadisti. Motivo per il quale i servizi continuano a consigliare all’esercito di distruggerli.

Della questione si sta occupando anche la Casa Bianca. L’intelligence statunitense ritiene che le armi chimiche presenti nel paese siano ancora sotto controllo. “Stiamo facendo tutto il possibile per garantire che tali materiali non siano accessibili a nessuno e che vengano custoditi con cura”, ha detto nelle scorse ore un funzionario dell’amministrazione Biden: “Vogliamo assicurarci che il cloro o cose ben peggiori vengano distrutte o messe in sicurezza.”

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