Sciopero generale confermato. L’atteso incontro sulla manovra tra il governo e i leader sindacali di Cgil, Cisl e Uil ma anche Ugl, Usb, Cida, Cisal, Confedir, Confintesa, Confsal, Ciu e Cse, arrivato a una settimana dalla prima convocazione saltata causa “sindrome influenzale” della premier Giorgia Meloni, come da attese non ha cambiato di una virgola le posizioni delle due parti. L’esecutivo ha fatto sapere che i margini di modifica su temi come sanità, pensioni, taglio del fondo auto e delle risorse per il Sud, rinnovi contrattuali nel pubblico impiego e recupero del turnover sono molto limitati. Di tassare i patrimoni per recuperare risorse non vuol saperne. Cgil e Uil hanno quindi confermato la mobilitazione già proclamata per il 29 novembre e l’Usb quella del 13 dicembre.
“L’unica spesa che viene aumentata è quella per le armi e per la difesa. Addirittura dicendo che si batteranno in Europa per chiedere lo scomputo dal patto di stabilità. E perché allora non lo chiediamo per la sanità? E per la scuola? Per gli investimenti, per le politiche industriali? Sono venti mesi che la produzione industriale cala”, ha commentato Maurizio Landini, leader Cgil. “Pur con qualche disponibilità”, ha aggiunto Pierpaolo Bombardieri della Uil, “non mi pare ci sia la possibilità di cambiare le scelte che riguardano non la filosofia ma i salari, le pensioni, cose molto pratiche, molto terrene”. Anche l’Usb contesta la “scommessa sull’economia di guerra” mentre si “penalizzano fortemente i servizi pubblici, dalla sanità ai trasporti alla ricerca” e “ai lavoratori non viene garantito nessun recupero del potere d’acquisto perso in questi anni”.
I regali di Cgil e Uil – Landini e Bombardieri erano arrivati a Chigi verso le 10 recando doni: rispettivamente una calcolatrice, a sottolineare che nessuno ha dimenticato i problemi di Meloni nel fare i conti sulle risorse stanziate per la sanità, e il libro di Camus L’uomo in rivolta, riferimento alla “rivolta sociale” evocata giorni fa dal segretario. “Se hanno paura delle parole, è bene che colgano un tema: che di fronte a un livello di ingiustizie e di diseguaglianze come quello che si sta determinando, io credo che ci sia bisogno proprio che le persone non accettino più, che non si girino da un’altra parte, che non guardino da un’altra parte”, ha chiosato Landini. Meloni, per tutta risposta, non si è fatta scappare l’occasione di sottolineare che il suo governo chiede un “contributo” alle banche mentre in passato “quando con la legge di bilancio si trovavano le risorse per sostenere banche e assicurazioni nessuno invocava la rivolta sociale“. A mani vuote Luigi Sbarra (Cisl), contrario allo sciopero, che a Meloni ha spiegato: “Noi non abbiamo portato gadget. Ci limiteremo a darle le nostre proposte per migliorare la politica di sviluppo di questo Paese”.
“Pensioni minime rivalutate”. Ma salgono di 3 euro – “Abbiamo concentrato le risorse su alcune priorità fondamentali” tenendo “i conti in ordine e concentrandoci su una prospettiva di crescita” pur “nel contesto internazionale tutt’altro che facile”, ha rivendicato Meloni – affiancata dal vice presidente del Consiglio Antonio Tajani, dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e dagli altri ministri competenti per materia – stando alle veline fatte circolare da Chigi. Poi ha ricapitolato le principali misure a partire da norme sul cuneo fiscale (rese strutturali ma in forma modificata) e passaggio da quattro a tre aliquote Irpef. “Abbiamo deciso di confermarle e potenziarle, come peraltro veniva richiesto soprattutto dalle organizzazioni sindacali”, ha detto. Poi ha confermato l’obiettivo di intervenire anche sullo scaglione di reddito successivo, ma dipenderà dalle “risorse che avremo a disposizione e che arriveranno anche alla chiusura del concordato preventivo“. Sulle pensioni minime, che come è noto saliranno di 3 euro al mese, nessun mea culpa: “Anche nel 2025 e nel 2026, come nei due anni precedenti, saranno rivalutate oltre il livello di inflazione indicato dall’Istat”.
Sul capitolo sanità, “dopo la confusione che ho fatto a Porta a Porta, sono contenta che Bombardieri mi abbia portato una calcolatrice, così potrà fare anche lui questo rapido calcolo. Quando questo governo si è insediato, nel 2022, il Fondo sanitario nazionale era di 126 miliardi. Nel 2025 raggiungerà la cifra record di 136,5 miliardi. Questo vuol dire che, in due anni, il Fondo sanitario è aumentato di 10,5 miliardi di euro”. Non occorre ricordare che la spesa in rapporto al pil resta immobile e il finanziamento in valori assoluti, come rilevato dall’Ufficio parlamentare di bilancio, “cresce meno della spesa con il rischio disavanzi regionali”.
Nuovo attacco al Superbonus (di cui ha voluto la proroga) – Nel mirino della leader di Fratelli d’Italia come al solito è finito il Superbonus. Contestato senza mai ricordare che anche FdI, come gli altri partiti di maggioranza, ha voluto che la misura varata per trainare la ripresa post Covid fosse più volte prorogata. E che ne è derivata anche una crescita 2021 molto superiore al previsto. “Raccogliamo la grave eredità di debiti che gravano come un macigno sui conti pubblici”, si è giustificata Meloni. “Trenta miliardi è il valore complessivo di questa manovra di bilancio, 38 sono i miliardi che, solo nel 2025, costerà alla casse pubbliche il Superbonus varato dal Governo Conte 2 per ristrutturare meno del 4% degli immobili residenziali italiani, prevalentemente seconde e terze case, cioè soldi dei quali ha beneficiato soprattutto chi stava meglio. La più grande operazione di redistribuzione regressiva del reddito nella storia d’Italia. Con le stesse risorse, qualsiasi provvedimento di questa legge di bilancio avrebbe potuto essere più che raddoppiato. Vale per la sanità, per i contratti pubblici, per la scuola, per l’aumento dei salari“.
“Banche e assicurazioni pagano”. Ma è solo un anticipo – Quanto alle coperture della manovra la premier ha sostenuto che “la solidità, la credibilità e il coraggio di questo Governo hanno consentito di poter far partecipare banche e assicurazioni alla copertura della legge di bilancio”. Per Meloni è “un grande cambiamento rispetto al passato, quando invece con la legge di bilancio si trovavano le risorse per sostenere banche e assicurazioni, e nessuno invocava la rivolta sociale“. Peccato che, come confermato da tutte le autorità indipendenti audite in Parlamento sul ddl di Bilancio, si tratti solo dell’anticipazione di soldi che avrebbero pagato comunque. L’Ufficio parlamentare di bilancio ha sottolineato che le misure “dispongono sostanzialmente solo una diversa ripartizione temporale del gettito e al più comportano per le imprese una minore disponibilità di cassa, che potrà essere recuperata dal 2027, e un costo sul rendimento atteso”.