La Corte dei Conti Ue sancisce che il denaro dei contribuenti europei viene speso in molti casi in maniera scorretta, violando le norme. O addirittura va perso a causa di frodi. Nel 2023, spiega il report annuale dei revisori dei conti europei sul bilancio comunitario, “circa un terzo dei pagamenti a fondo perduto a valere sul Recovery fund non rispettava le norme e le condizioni applicabili, al punto che 6 pagamenti” in sovvenzioni su 23 effettuati a 17 Paesi membri “erano inficiati da un livello di errore rilevante“. La Corte, esprimendo un giudizio “con rilievi”, “ha individuato anche casi di debolezze nella concezione dei traguardi e degli obiettivi” e “problemi persistenti connessi all’attendibilità delle informazioni incluse dai Paesi”. Risultato: i revisori dei conti del Lussemburgo hanno dato un giudizio complessivo “con rilievi” all’intero operato dell’Ue sul fronte del Next Generation. Per l’Italia si registra un caso di irregolarità su un obiettivo legato alla cybersicurezza, “Sostegno al potenziamento delle strutture di sicurezza”, di cui erano titolari presidenza del Consiglio e ministero dell’Innovazione Tecnologica e attuatore l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale.

Roma doveva portare a termine “almeno cinque interventi per migliorare le strutture di sicurezza nei settori del Perimetro di Sicurezza Nazionale Cibernetica (PSNC) e delle reti e sistemi informativi (NIS)”. La Corte boccia sei delle sette relazioni presentate alla Ue “per dimostrare le azioni di rafforzamento volte a potenziare le strutture di sicurezza” in quanto “non costituivano un miglioramento delle capacità interne di monitoraggio e controllo, ma una mera analisi di tali capacità”. Gli interventi “fornivano la base per i piani di potenziamento delle ciberdifese, ma non rappresentavano azioni di rafforzamento che potenziavano le strutture di sicurezza come invece richiedeva la decisione di esecuzione del Consiglio”. La Penisola come è noto è lo Stato a cui spettano più risorse: 191,5 miliardi di euro a valere sulla Recovery and resilience facility, di cui 68,9 miliardi a fondo perduto e 122,6 miliardi in prestito, più 13 miliardi di euro a valere sul fondo React Eu.

Poi ci sono le frodi. Fino alla fine del 2023, le dichiarazioni di gestione degli Stati membri non avevano segnalato neanche un caso di presunta frode. I dati della relazione annuale della Procura europea (EPPO) mostrano però che l’anno scorso erano attive 206 indagini relative ai fondi RRF, per potenziali danni stimati in oltre 1,8 miliardi di euro. Le 206 indagini aperte riguardano 10 Stati membri e circa il 75 % dei casi riguarda l’Italia. Cifre che “mettono in discussione l’affidabilità delle dichiarazioni di gestione degli Stati membri in termini di segnalazione delle frodi individuate e delle misure correttive adottate”.

La Corte – pur concludendo che i conti europei restituiscono un’immagine fedele e veritiera della situazione finanziaria – esprime preoccupazione per un livello di errore nella spesa che continua ad aumentare, arrivando al 5,6%, dal 4,2% del 2022 e dal 3% del 2021. Le irregolarità sono estese anche a una parte dei 48 miliardi sborsati lo scorso anno per il Recovery. Livelli di spesa irregolare “alti”, ha denunciato il presidente della Corte, Tony Murphy, indicando “la necessità di disporre di solide strutture di controllo e di rendicontazione, sia a livello di Stati membri che dell’Ue, al fine di preservare la fiducia dei cittadini”. Qualche esempio? Per 12 operazioni legate a strumenti finanziari – prestiti, garanzie e investimenti azionari – riguardanti 119 destinatari finali e 36 commissioni di gestione sottoposti ad audit, la Corte ha rilevato che sette destinatari finali avevano ricevuto un sostegno nonostante operassero in un settore economico non ammissibile (uno in Italia e due in Slovenia) o non rispettassero i criteri di ammissibilità (uno in Germania) o le disposizioni dell’accordo di finanziamento (due in Italia e uno in Ungheria).

I costi aggiuntivi dell’indebitamento per il Recovery – compresi, nelle stime, tra i 17 e i 27 miliardi – mettono sotto pressione il bilancio Ue, contribuendo a un’impennata del debito pubblico che, nel 2023, ha registrato un aumento del 32%. Toccando il livello monstre di 458,5 miliardi. Ma a pesare è anche “l’effetto negativo dell’inflazione“, che si stima ridurrà il potere d’acquisto del bilancio comunitario del 13% entro la fine del 2025. “C’è un’erosione del potere di spesa, quindi a bilancio abbiamo una somma che non corrisponderà a quella” prevista inizialmente per impostare obiettivi e azioni strategiche dell’Ue, ha spiegato il membro italiano della Corte, Carlo Alberto Manfredi Selvaggi – ex capo della struttura di missione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – precisando tuttavia che si tratta di “previsioni” che potranno essere poi condizionate anche dalle “decisioni future” per esempio della Bce nella direzione di “una diminuzione dei tassi di interesse“. Davanti a un debito “quasi raddoppiato rispetto al 2021″, quando si collocava a 236,7 miliardi di euro”, l’Ue è ora “uno dei maggiori emittenti di debito in Europa”. L’esposizione complessiva del bilancio dell’Ue, che misura il rischio connesso alle garanzie prestate dal bilancio e alle passività potenziali, era di 298 miliardi di euro alla fine del 2023, in aumento rispetto ai 248,3 miliardi di euro del 2022.

E per il futuro, nonostante l’entrata in vigore del nuovo Patto di stabilità con i Paesi chiamati ora a presentare i loro Piani di bilancio con traiettorie sostenibili per il riordino dei conti pubblici, le previsioni non sono rosee. Le “eventuali inadempienze” sui prestiti concessi all’Ucraina – per la quale l’assistenza finanziaria è più che raddoppiata nel 2023, passando da 16 a 33,7 miliardi – potrebbero portare nuovi guai. E la proposta sulle risorse proprie presentata dalla Commissione per rimpinguare il bilancio, è l’avvertimento dei revisori dei conti, potrebbe non generare entrate sufficienti a rimborsare il debito connesso al Next Generation Eu.

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