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“Il museo non fa indossare la kefiah ai dipendenti”, la scrittrice Jhumpa Lahiri rifiuta il premio Isamu Noguchi

“Il museo non fa indossare la kefiah ai dipendenti”, la scrittrice Jhumpa Lahiri rifiuta il premio Isamu Noguchi
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La scrittrice premio Pulitzer Jhumpa Lahiri ha rifiutato di accettare il premio Isamu Noguchi attribuito ogni anno dal museo fondato quasi 40 anni fa a Long Island (New York) dall’artista americano-giapponese, celebre per le sue sculture e i mobili di design, in segno di protesta per il divieto allo staff di portare la kefiah. “Lahiri ha ritirato l’accettazione del premio in reazione al nostro nuovo codice di abbigliamento – ha fatto sapere il museo – Rispettiamo la sua prospettiva nella consapevolezza che le nostre decisioni possono non essere in linea con l’opinione di tutti”.

Un mese fa il Museo Noguchi, come riporta l’Ansa, aveva annunciato il divieto allo staff di indossare, durante le ore di lavoro, abiti o accessori che esprimono “messaggi politici, slogan o simboli”. Come conseguenza del bando, tre dipendenti che si erano rifiutate di togliersi la kefiah indossata in segno di solidarietà con il popolo palestinese sono state licenziate. Il nuovo codice, che non si applica ai visitatori, era stato adottato dopo che per mesi, dopo le azioni militari di Israele a Gaza, parecchi membri dello staff avevano messo la tradizionale sciarpa palestinese per ragioni che una delle dipendenti licenziate aveva definito “culturali”.

In una lettera alla direzione del museo dopo la pubblicazione del bando, una cinquantina dei circa 70 dipendenti avevano ricordato che lo stesso Noguchi odiava le guerre e che durante il secondo conflitto mondiale si era fatto volontariamente internare in uno dei campi di detenzione per giapponesi-americani creati in Arizona dopo il bombardamento di Pearl Harbor. Il museo, che in passato ha preso posizione sui temi del razzismo e delle diseguaglianze contro gli afro-americani invocando le posizioni del fondatore, aveva difeso il divieto della kefiah affermando che “questo tipo di espressioni possono, senza volerlo, alienare segmenti dei nostri visitatori”.

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