di Giovanni Papa

Nell’anno dello storico sorpasso demografico sulla Cina, l’India mostra tutte le sue contraddizioni tra crescita economica e benessere dei propri cittadini.
Il World Economic Outlook 2024, per il secondo anno consecutivo, le attribuisce un incremento annuo del Pil a +6,5%. Superato anche qui il “dragone” dei record (+5,2%), più che raddoppiato l’indice statunitense (+2,5%), polverizzate le prestazioni del Pil medio del vecchio continente (+0,5%).

Un passo da “tigre”, che secondo gli analisti sembra destinato a continuare, fino al sorpasso in termini assoluti, su Giappone e Germania nel breve, in 25 anni sulla ricchezza complessiva dell’area Euro e in 50 anni su quella Usa.

Tutto questo senza tener conto di una eventuale accelerazione nella modernizzazione del Paese, già in possesso di tecnologie nucleari e con diversi asset tecnologici all’avanguardia, capace di produrre il 7,5% delle derrate alimentari mondiali con il solo sfruttamento della manodopera. Numeri macroeconomici spaventosi che mostrano però tutta la loro penosa fragilità quando si guarda al benessere dei propri cittadini: l’ennesima dimostrazione di come il Pil non sia un misuratore di benessere di un popolo. La crescita del subcontinente indiano – facilitata dalla “divina” giustificazione della suddivisione in caste – è evidentemente “dopata” da una infinita possibilità di attingere a risorse umane sottopagate e senza alcun diritto sociale se non quello alla sopravvivenza.

Destinata in questo senso a battere record negativi, gli ultimi dati di Oxfam International ci raccontano che il 50% di loro (750 milioni di persone) si spartiscono un misero 3% della ricchezza prodotta dal Paese, restando così annegati nella povertà assoluta. Una penosa situazione percepibile nelle zone rurali, ma ancor più nelle grandi città, dove non è difficile imbattersi in interi nuclei familiari che dormono finanche per la strada o laddove fortunati, in tende lacere e sporche.

Il tutto aggravato da un contesto igienico sanitario che dà il suo meglio nei centri più popolosi dove, sotto una cappa opprimente di smog, case fatiscenti si alternano senza soluzione di continuità a discariche più o meno improvvisate, cumuli di plastica ovunque e dulcis in fundo, canali fognari a cielo aperto. Davanti a certe scene, passano quasi inosservate le “Sacre mucche” libere di lasciare escrementi ovunque si trovino o meglio “pascolare” tra i rifiuti umani. Il sentiment certamente non cambia laddove questa enorme crescita economica sembra al momento non aver giovato neanche allo sviluppo delle infrastrutture primarie.

Carenze nei sistemi fognari e nella rete idrica, distribuzione elettrica affidata ad un numero infinito di fili aggrovigliati, sostenuti via area da improbabili pali di legno, vanno di pari passo ad un sistema viario datato, incapace di sostenere sia la morsa del traffico cittadino che le lunghe distanze autostradali.
Una terra piena di forti contrasti certamente moderata dall’infinita pazienza di un Popolo fortemente radicato alla sua religione, l’Induismo, che auspica una vita migliore nella prossima reincarnazione laddove ci si comporta in modo egregio in questa. Una fede incrollabile che riesce a colorare la vita di queste persone di una Dignità tutta loro fino a farli sorridere e salutare lo “straniero”, sempre accolto con gentilezza.

Una esperienza intensa comunque la si pensi, che mette seriamente alla prova le nostre consolidate abitudini occidentali. Odori, sapori, colori, sguardi, usanze e consuetudini lontane dal nostro mondo ma non per questo senza meraviglia. Di certo lontana da quella visione comunitaria ed egalitaria che il Maathma, oggi ingiustamente accomunato e confuso con la politica “corrente”, agognava per la sua gente: l’India di oggi sembra aver sviluppato geni antitetici a quelli auspicati anche in una delle sue più famose feste. Quel Holi Festival che, per un unico giorno all’anno, attraverso una pioggia di colori, mette tutti sullo stesso piano.

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