di Katia Impellittiere

È una storia emblematica quella del legame tra i cinghiali e l’espansione della caccia in Italia. Un percorso che permette di comprendere come sia possibile che la causa di un presunto problema possa diventare la sua presunta soluzione. Parliamo di una strategia precisa ed efficace che ha ricavato un’occasione straordinaria anche dalle zoonosi, dalle mini pandemie che, hanno spesso se non sempre una relazione diretta con l’attività umana. Per decenni i cacciatori, direttamente o attraverso soggetti comunque collegati, hanno promosso l’allevamento e l’immissione di cinghiali, ora vietata ma ancora ampiamente diffusa, provenienti da ceppi dell’Europa orientale, caratterizzati da esemplari molto più grandi e prolifici.

(Fig.1)

Grazie a questo la specie si è diffusa, e si è iniziato a gridare all’emergenza. La risposta? Ovunque la stessa: l’allargamento sine die della stagione di caccia attraverso piani di abbattimento. Così il primo obiettivo è stato raggiunto. Ma è stato solo l’inizio, perché proprio la caccia su larga scala attuata soprattutto con la braccata, produce un effetto opposto all’obiettivo dichiarato del contenimento, perché la frammentazione dei branchi che ne deriva porta a una forte reazione riproduttiva attuata dagli esemplari più giovani.

(Fig.2)

La popolazione, insomma, anziché diminuire aumenta, e stavolta l’obiettivo vero, è a portata: le recenti modifiche di legge e ancor di più, l’attuale proposta di legge (C.1548) anticostituzionale per una totale deregulation venatoria del deputato Bruzzone affidano ai cacciatori tutori dell’ordine pubblico la possibilità di sparare ovunque, h24, 7 giorni su 7, con qualsiasi mezzo e persino nei parchi e nelle aree urbane. Meglio di così non poteva andare, ma a migliorare ulteriormente le cose è arrivata la peste suina africana (Psa): malattia virale, contagiosa e spesso letale, che colpisce suini e cinghiali.

Sì, perché nonostante l’Efsa, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, abbia scritto a chiare lettere che è insensato far muovere sul territorio soggetti armati che spargono sangue dalle carcasse trasportandole ed eviscerandole, trasformandosi in possibili diffusori del virus che uccide migliaia di maiali d’allevamento, Regioni e associazioni agricole hanno chiesto e attuato esattamente questo. L’Efsa scrive che “la circolazione di animali infetti, i prodotti a base di carne di maiale contaminata e lo smaltimento illegale di carcasse sono cause di contaminazione“. E allora perché si è deciso di moltiplicare la possibile diffusione del problema consentendo ai cacciatori causa della proliferazione dei cinghiali di sparare, macellare e portare a spasso ancora di più l’effetto che hanno creato? Tra le raccomandazioni dell’Autorità c’è anche quella di adottare “misure drastiche come il divieto totale di caccia in alcune zone che potrebbe essere imposto per frenare l’epidemia”.

La Psa si diffonde nelle aree soprattutto grazie all’importazione di carni infette e di animali contagiati provenienti da Paesi dell’est dove le misure di biosicurezza non sono state rispettate. Poi è facile farla diffondere negli allevamenti in cui i suini sono stipati all’inverosimile in condizioni igieniche spaventose. Il timore esposto come giustificazione delle fucilate è quello di un contatto tra animali selvatici infetti e capi domestici allevati all’aperto. La realtà è che la maggior parte degli allevamenti sono sì bombe biologiche, terreno di coltura per lo spillover virale, oltre che la fonte di un inquinamento spaventoso da liquami, composti azotati, ammoniaca e polveri; ma sono anche inaccessibili alla fauna selvatica.

Se si prende per esempio la Lombardia, Regione con più alta densità di allevamenti di suini (4 milioni e 300 mila, il 50% del totale Nazionale, con 2716 allevamenti) si vede che un comune lombardo su dieci non rispetta le prescrizioni della Direttiva Nitrati EU, nonostante l’Italia sia già sotto procedura di infrazione da parte della Commissione europea (n. 2018/2249) per mancato adeguamento alla stessa direttiva. Eppure “…alcune indagini hanno evidenziato una relazione tra l’esposizione cronica a nitrati (derivati dell’azoto) e una maggiore incidenza di cancro negli adulti”, dichiara Carlo Modonesi, membro del Comitato scientifico dell’Associazione medici per l’ambiente (ISDE) .

Fig.3

Allevamenti di suini in Italia, fonte

L’incentivare con ristori il comparto zootecnico, e con forzature legislative la passione sanguinaria dei cacciatori e la conseguente lucrosa filiera economica della carne di cinghiale che ne discende, non è un modo per contenere le emergenze sanitarie ma una parte integrante del problema. Al contrario, le azioni da intraprendere per invertire la rotta sono la riduzione della densità dei suini nei singoli allevamenti e intervenire sui cacciatori, che con la loro attività sono un veicolo per di propagazione della PSA.

Chi strumentalizza questa zoonosi per chiedere l’ulteriore ampliamento delle possibilità di caccia carica colpe su una vittima, il cinghiale, cercando di nascondere il proprio ruolo di potenziale diffusore. Un motivo in più per fermare la proposta di legge (C.1548) sparatutto: firma la petizione qui.

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