Tutto pronto. Come già scrissi a suo tempo, e come ho sentito confermare dalle parole di Stash dei The Kolors: ‘C’è chi sogna di fare Sanremo e c’è chi mente’.

Io e mio marito trascorriamo parte della prima serata a casa dei nostri vicini che hanno un impianto che spacca. Mi rendo conto, in questa occasione, che ho sempre ascoltato le canzoni di Sanremo a qualsiasi volume, indifferentemente medio o basso, talvolta anche bassissimo, impercettibile, come farò anche stanotte, quando la tarda ora esigerà rispetto. A conferma del fatto che la musica, in televisione, è anche e soprattutto distrazione, intrattenimento, colori, scenografie, costumi, contorni, corollari, accessori.

Questa edizione mi sembra partire in sordina, non comprendo bene le parole dei primi brani, fino a che non arriva la signora Mannoia a scandire esattamente ogni sillaba con il suo vocione, a piedi nudi in abito lungo, sul palco che già è stato suo in passato, e che si riprende alla grande.

Mi renderò conto via via che questa prima serata si presenta in generale pacata e senza momenti imbarazzanti, con molto nero negli abiti degli artisti. Ho però come un sentore di routine, di qualcosa che ha fatto il suo corso e forse per questo deve cambiare. Chissà. Non resto delusa da nessuno dei pugliesi in gara che attendevo con molto campanilismo, tra l’altro anche loro tutti vestiti di nero, tranne il candido Diodato.

Bene Alessandra Amoroso, che, mentre in conferenza stampa era apparsa fragile leggendo le offese gratuite ricevute sui social, ora è centrata in un’ottima esecuzione. La sua canzone mi pare in linea con il suo stile, e la performance è valorizzata dalla scelta di un elegante abito lungo. Emma, in pantaloncini corti, esegue il suo Apnea, e come già mi pare faccia da qualche tempo utilizza diversamente la sua voce potente e graffiante, virando verso uno stile più modaiolo. Ottimo Diodato, anche se meno incisivo della volta scorsa quando gli era toccata una vittoria senza pubblico. Introduce nel finale un accattivante balletto.

Benissimo infine i Negramaro, che ritornano in grande stile con un brano che non tradisce le aspettative. Rimangono fedeli a se stessi grazie a una scrittura di cui sono gli unici depositari, conquistandomi grazie alla citazione di Battisti. Non posso non restare impressionata da Loredana Bertè, splendida nel suo essere autentica ora come allora. E quest’anno porterà a casa qualcosa, sicuro! E che dire di Angelina Mango, un turbine di energia, talento, scioltezza, sincerità ed entusiasmo. Mi riservo di riascoltare Santi Francesi e Mr Rain.

Tra tutte però, la performance più stupefacente è stata quella di Marco Mengoni, che, oltre a infiammare nuovamente il pubblico in sala e a casa con Due vite, brano vincitore lo scorso anno, e il medley dei suoi successi, si è confermato (già lo sapevamo) campione di delicatezza, di gentilezza, di garbo. Ha dimostrato freschezza e apprezzabili doti di intrattenitore quando si è prestato con simpatia e ironia, insieme ad Amadeus a fargli da spalla, al siparietto in cui ha scherzato con lui, sdrammatizzando alcuni eventi delle passate edizioni che avevano fatto scalpore. Mengoni rimane sempre pulito. E sono sicura che, se volesse, farebbe passare il più trasgressivo dei messaggi anche alla platea dei più benpensanti.

Scrivo queste parole senza aver riascoltato nemmeno una nota di nessuna delle trenta canzoni in gara, senza concentrarmi sui testi, facendo solo una grandissima e forse esagerata scorpacciata di tutto quello che nella prima serata è stato proposto, tenendo spenta la radio stamattina, con un po’ di ovatta nelle orecchie. Sono pronta a confermare o smentire a partire da questa sera.

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