Il prima e il dopo. Com’era e come è oggi. Della stessa fotografia faccio cadeau alla classe dirigente e amministrativa, nell’ordine il ministro degli Interni, il ministro della Cultura, il sindaco, il prefetto e il Sovrintendente delle Belle arti e Paesaggio, gli ultimi due freschi di nomina. Formano una bella cinquina da giocarmela a tombola.

Oggetto: La Galleria Umberto, il nostro gioiellino neo/classico, gemella della Galleria Vittorio Emanuele di Milano, a detta di molti è anche più bella di decorazioni liberty con cupola in vetro e ferro battuto più imponente e più alta di 10 metri. Di fatto è la Cenerentola. A Milano brillano le vetrine delle griffe, Prada, Moncler, Tods, da noi è dormitorio e pisciatoio dei senzatetto, mosaici, vetrate e pavimenti sviliti anche da inutili promesse di rigenerazione urbana.

Brindisi di auguri: la fotografia è in bella mostra nella sala del Acen, Associazione Costruttori Edili Napoli e Provincia, a Palazzo Partanna, dalla facciata settecentesca che dà sul salotto buono di piazza de Martiri. Al buio di luminarie natalizie. Ma il buio è anche metaforico, è il vuoto istituzionale che ci avvolge. Al primo colpo d’occhio penso si tratti di una foto degli anni 60. Trasecolo quando mi viene presentato il giovane fotografo Luca Di Martino. È la terza generazione della scuderia di razza della Brancaccio costruzioni, ha lasciato la promettente carriera di fotoreporter per entrare nell’azienda di famiglia.

NON USARE
Foto di Luca di Martino

Quel gioco simmetrico di mosaici di marmo in tutte le sfumature del rosa e del grigio della Galleria Umberto I vista dall’alto é una meraviglia. Quest’anno nella Galleria di Milano l’albero scintillante Swarovski ha ceduto il posto agli sberluccichi dell’installazione Gucci. Da noi ogni volta che si prova a ingentilire la Galleria con un albero di Natale finisce che i mariuoli se lo portano a casa.

Milano sotto le volte ospita ristoranti stellati, da noi c’è una infinita tavolata della “mangiatoia” McDonald’s (che non è certo quella del presepe). Come l’hanno ridotta in poche girate di clessidra. La Galleria Umberto era il passaggio obbligato da Via Toledo, la via Montenapoleone di fine ottocento, per andare al Teatro regio San Carlo. Farsi lustrare le scarpe all’interno della galleria era l’usanza degli uomini chic della città, gli sciuscià (che hanno ispirato il capolavoro del neoralismo di Vittorio De Sica) sono scomparsi pure loro. La Galleria ospitò la prima sala cinematografica della città dove venivano proiettati i primi film dei fratelli Lumière. Adesso sotto le finestre del notaio Luigi Di Persia ignoti teppisti di notte giocano a pallone e usano come segna porta la targa in ottone del suo studio. Quando non parano, e cioè molto spesso, l’ammaccano e va sostituita.

Rabbia e tristezza. Come ti hanno ridotto. Il ministro Sangiuliano è stato chiaro: rispetto dei luoghi all’altezza della storia che rappresentano. Il ministro Piantedosi lo scorso luglio in pellegrinaggio a Piazza Plebiscito, altro dormitorio di barboni e urinatoio dietro il colonnato (avranno anche loro diritto alla privacy, o no?) ha promesso subito 3 milioni di euro. Ancora non si sono visti.

La Galleria Umberto è la fotografia spietata del vuoto amministrativo. Una Galleria che è a pezzi, Piazza Plebiscito che è a pezzi. È la nostra dignità (e della città) che è ridotta a briciole. Dalle stelle alla stalle, abbiamo visto, ci vuole un attimo. Da qualche giorno si sono aperte all’ingresso principale da via Toledo si sono aperte delle voragini nel bellissimo pavé di marmo intarsiato subito transennate per la gioia dell’armata bracalone di turisti che sta arrivando in città.

Io un regalo ve l’ho fatto: la presa di coscienza di una società civile. Illustre forum, adesso fate voi un regalo a Napoli. Niente più strimpellamenti di Gigi d’Alessio in piazza Plebiscito, blindando un intero quartiere. E allora sì che faremo tombola. Il prossimo giugno, sarebbe il suo terzo anno consecutivo. Reinventati, Gigi, porta fiato alle periferie. Il concerto di Geolier sotto le vele di Scampia è stato di clamoroso impatto. Ha spaccato, come dicono i rapper.

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