E’ stato dilapidato un patrimonio: circa 700 milioni di euro che la famiglia Agnelli ha immesso nelle casse della Juventus sottoscrivendo il terzo aumento di capitale in cinque anni. E’ vero che il patrimonio della famiglia Agnelli è stimato in circa 150 miliardi di euro e 700 milioni di spesa forzata hanno lo stesso valore del furto del nostro portafogli contenente 50 euro, ma l’aspetto avvilente è piuttosto concentrato sul fatto che quell’esborso obbligato è il risultato di una gestione inefficiente e non di investimenti (acquisto di calciatori, stadio nuovo, ecc.) che necessitano di risorse ulteriori rispetto a quelle disponibili alla società da attingere, appunto, dalle disponibilità personali.

Provate a immaginare, sforzandoci di fare gli “Agnelli per un giorno”, il momento in cui il manager della vostra azienda di calcio vi comunica che il bilancio presenta perdite tali per cui occorre obbligatoriamente (le perdite hanno superato un terzo del capitale) mettere mano alla tasca privata per ripianarle. Non sarebbe affatto un bel sentire. A nessuno farebbe piacere pensare di dover rischiare qualcosa di personale per sistemare delle inefficienze societarie.

Quanti presidenti o soci delle società calcistiche professioniste hanno svuotato in maniera così consistente le loro tasche negli ultimi cinque anni per rimpinguare i conti delle squadre che presentavano perdite insostenibili giuridicamente o per sostenere un piano di sviluppo che i pochi soldi rimasti non potevano assicurare? Solo la famiglia Agnelli che sta sostenendo l’ultimo aumento di capitale della Juventus di 200 milioni di euro. Una ricapitalizzazione che segue quella per quattrocento milioni di euro, conclusasi nel dicembre 2021 richiesta sempre per lo stesso motivo (benzina necessaria per coprire le perdite presenti nel bilancio della società bianconera). E pensare che solo due anni prima (2019) la Juventus aveva già fatto un altro pieno a un serbatoio che sembra bucato. Il socio di maggioranza Exor Nv, presieduta da John Elkann, in pratica la famiglia Agnelli, si vincolò a sottoscrivere la sua quota (circa il 63,8% del totale, pari a 255 milioni) al fine di non perdere il governo dell’azienda.

Ora vi chiedo: voi avreste rischiato i vostri risparmi per sottoscrivere un aumento di capitale di una società che sta fornendo uno spettacolo sportivo non allineato alle aspettative di fatturato, che ha patteggiato la pena per la condanna per “operazioni sospette” e presenta ancora un bilancio in perdita (-123,7 milioni) per inefficienti decisioni gestionali relative agli investimenti degli ultimi anni?

Spesso mi viene rivolta la domanda: “Mi consiglia di investire in un club professionistico di calcio?”. La mia risposta è stata sempre la stessa: “Stia lontano!”.

Ho sempre pensato che la finanza applicata al calcio generasse una sorta di “mostro”: quando si investono i propri soldi in attività imprenditoriali è sempre necessario comprendere i rischi, ponde- rarli, valutare il rapporto costi/benefici. Ma è soprattutto importante, in questo ambito, semplificare e ridurre ai minimi termini il quadro decisionale, togliendo più variabili possibili, riducendo i margini di incertezza.

E l’incertezza è assolutamente collegata al business del calcio (e di qualsiasi sport), troppo basato su variabili incontrollabili. Un giocatore fuori forma, gli infortuni, una serie di episodi poco fortunati, una “piazza” sportiva ostile, sviste arbitrali, un’attenzione mediatica spesso ossessiva: tutti elementi che possono incidere pesantemente sul proprio investimento e che non sono misurabili in termini di impatto sul rischio.

Lo conferma l’andamento in borsa del valore del titolo Juve negli ultimi cinque anni: chi ha acquistato un’azione della Juventus a 0,80 euro nel gennaio 2018, oggi ha tra le mani un valore di circa 0,25 euro. Un rendimento negativo, al netto dell’inflazione, di circa il 70% (!) in un periodo di tempo (cinque anni) ritenuto teoricamente ottimale per un guadagno da un investimento non speculativo.

Se poi andiamo a verificare la Posizione Finanziaria Netta, il dato è allarmante: nonostante l’aumento di capitale, al 30 giugno 2022 l’indebitamento finanziario netto della Juventus ammonta a 340 milioni, in aumento di 187 milioni (!!!) rispetto al dato al 30 giugno 2022 (153 milioni). Un indice, secondo quanto riportato da questo giornale (“La Juve si fa anticipare i ricavi per lucidare i conti (e fare mercato”), realizzato anche attraverso operazioni di maquillage contabile affinché si raggiungesse quell’equilibrio finanziario che in un’azienda di calcio è un elemento fondamentale da monitorare, in quanto un suo significativo peggioramento costituisce la causa più diffusa di dissesto aziendale.

Come già ribadito su queste pagine, la continuità aziendale non può reggersi sul medio-lungo periodo con i soli apporti di capitale di rischio (i soldi degli azionisti) e di credito (il debito con le banche) e con operazioni di disinvestimento (le plusvalenze da vendita dei calciatori).

Uno scenario che configura, in determinate condizioni, un assetto liquidatorio della società, non certo quello di una organizzazione con una compagine azionaria destinata a perdurare nel tempo.

Articolo Precedente

Euro2032 assegnato a Italia e Turchia: gli europei di calcio a metà con Erdogan

next
Articolo Successivo

Euro2032, l’Italia s’è presa mezzo torneo ma non ha nemmeno un dossier. E gli stadi? Erdogan gufa per soffiarci la finale

next