“Due anni fa mentre ero al Cairo a giocare un torneo Itf, ho comprato il biglietto aereo per il Portogallo senza avere la certezza di riuscire ad entrare nel Maia Open, un Challenger. Sconfitto in Egitto, sono partito immediatamente e ho giocato in Portogallo senza essere riuscito a dormire neanche un’ora”. La vita di un tennista come Simone Roncalli, ormai intorno alla 700esima posizione Atp (best ranking 536, l’anno scorso) è pressappoco sempre questa. Anzi era questa perché soltanto qualche settimana fa il 27enne di Busto Arsizio ha deciso di chiudere con il tennis giocato. Ora si dedicherà alla carriera di allenatore: tutte le esperienze fatte in queste stagioni da professionista, difficoltà e disavventure comprese, valgono quanto una laurea. In Economia più che in Scienze Motorie.

Durante una recente riunione dell’Associazione Giocatori Professionisti, Nole Djokovic ha criticato l’Atp per quanto riguarda i salari dei tennisti. Il serbo sostiene che sono “solo 400 i giocatori che vivono con il tennis. All’inizio si hanno dei problemi finanziari enormi, con il rischio di essere in un torneo e saltare quello successivo per mancanza di fondi. Capisco perfettamente la fatica di chi è agli inizi: gli atleti devono pagare anche i fisioterapisti, i viaggi, gli allenatori e i campi di allenamento, non è facile. Sono circa 400 i tennisti che possono guadagnarsi da vivere grazie al tennis, una cifra molto bassa per uno sport globale come il nostro. È un fallimento”.

Roncalli a ilfattoquotidiano.it spiega perché Djokovic “ha ragionissimo”. E traccia un quadro della situazione attuale: quelli che vivono con il tennis “forse sono un po’ più di quattrocento, ma il concetto è quello. Ricchi ricchi sono solo i primi cento. Dentro i 230 del mondo giochi le qualificazioni Slam e si guadagna ancora bene. Dal 230 al 300 si va economicamente in pari, più giù si va in pari o addirittura sotto. Dalla posizione 230 alla 600 sono fondamentali le gare a squadre, soprattutto vanno contenute le spese: bisogna avere un team snello, meglio se si viaggia da soli. Inoltre vivono di tennis le Top 200 del femminile, così come i primi 100 del doppio”. Roncalli, che in carriera ha vinto un titolo ITF, dice che in uno sport così seguito a livello mondiale sono davvero troppi pochi quelli che ci guadagnano, fossero anche un po’ più di 400.

Classe 1989, anche Roberto Marcora si è ritirato quest’anno dopo essere stato Pro dal 2009 e aver vinto undici Futures in carriera. Marcora è stato 150 nel febbraio 2020: “Quello che dice Djokovic è vero – racconta a ilfattoquotidiano.it – Tutto il resto del gruppo paga per giocare a tennis oppure nelle migliori delle ipotesi va in pari. Se non fosse stato per mio padre che mi ha aiutato economicamente dai 20 ai 23 anni d’età, non sarei nemmeno diventato professionista. Poi una volta entrato nel giro degli Slam, tra montepremi e campionati a squadre puoi cominciare a mantenerti. Ma i soldi veri iniziano ad arrivare solo quando entri nei primi 100”. Dopo una lunga carriera, costruita sulla perseveranza e sul carattere, Marcora adesso fa tutt’altro. “Mi sono ritirato a Indian Wells di quest’anno, ora lavoro nell’azienda di famiglia nel settore dell’acciaio laminato a caldo”.

Luca Potenza ha solo 23 anni, lui è ancora in attività. Chissà ancora per quanto. A giugno è arrivato alla posizione numero 456 ed ora è una cinquantina di posizioni più sotto. A ilfattoquotidiano.it non nasconde le difficoltà che incontra quotidianamente. “Certo, si fa molta fatica – dice il tennista siciliano – soprattutto se non si è fortunati ad essere di famiglia benestante. Chi non lo è (per esempio io), è costretto a saltare alcune settimane, alcuni tornei. Djokovic parla di quattrocento tennisti, temo purtroppo siano anche meno”.

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